mia cara un tempo e mia gentil famiglia,
fa più acerbo il mio duol, perché più grave
Donna mortal dunque rapito il culto
mi avrà, me sofferente? E tu, reo figlio,
mi vendichi così? Forse l’oltraggio
non aggiunsi al comando e preghi e vezzi?
Ma pentir ti farò, figlio infingardo;
ed invano implorando umil perdono,
ti farò sovvenir che madre io sono.
l’erbe del sangue suo rendea vermiglie
del possente Ilion la reggia amica,
sì turbati mai vidi i tuoi begli occhi.
Né cagione ebbi mai di tanto affanno.
Mercurio, ascolta. In Pafo
delle turbe vassalle i grati omaggi.
Si lasciano Citera e Cipro e Gnido
per vagheggiar nella rival superba
e chi, vedi menzogna! ancor più bella.
e a chi più sa mentir vieppiù si applaude.
Saria Psiche costei? Di sua bellezza
fino al seggIo di Giove è giunto il grido
Luce, ch’è involta nel corporeo fango,
è un color ch’è accidente, un ben caduco;
e qualunque ella sia, non è che un mio
raggio e favor, quai sono gli astri ancora
del pianeta maggior raggi e scintille.
Ma se fral la conosci, a che la temi?
Diva ne sei. Femmina è Psiche. Aspetta
da breve età la tua maggior vendetta.
che può soffrir. Mal vendicato è il torto
che ha il rimedio dal tempo. Il figlio mio
con stral di piombo avrà passato il core;
per uom vile, mendico, egro, deforme;
e sposa amante a sì gentil marito,
la mostrerà tutta la Grecia a dito.
ben ti servì Cupido. Amante è Psiche
fiero, crudel, peggior di serpe e d’aspe.
Al tergo ha l’ali e spira fiamma e tosco;
e di cori fa strazio e se ne pasce;
e intorno a lui stanno sospiri e ambasce.
Che ascolto! E sarà ver? Punita è l’empia?
Amor fe’ sì bel colpo?... Ah, tu m’inganni.
Sono avvezzo a soffrir dal tuo bel labbro
quella fede darai che a me ricusi.
So che il mentir ti piace; e al menzognero
Misera! Non sa ancor tutti i suoi mali.
Ma dire a lei non mi sofferse il core
e che di Psiche è innamorato Amore.
Imperfetto piacer! Misero amore!
Se l’amore è un desio del bel che piace,
se un possesso è il piacer del ben che s’ama,
come amare poss’io quel che non veggio?
Come quello goder che non conosco?
E quando all’alma mia bello il dipingo,
non l’amo qual egli è ma qual mel fingo.
che men vago mel finga il mio pensiero
e abborro il finto e amar non posso il vero.
Terreno cor non è mai pago a pieno.
senza gel, senz’ardore, a te fiorisce.
di avidità, non che al tuo sesso, al nostro,
qui fa vili la copia; e tale hai sposo,
per cui lieta esser puoi più ch’altra in terra,
sposo ch’idolo altrui ti fe’ suo nume,
e che sol per più amarti è tutto amore.
Dietro que’ mirti inosservata ascolta.
Che mai son giunta ad ascoltar? D’amore
Amor favella a Psiche? Oh vile! Oh indegno!
figlio della ragion più che del senso,
Ti è caro il mio piacer? Fa’ ch’io lo miri.
Tu l’hai nel tuo sembiante. A che mel neghi?
ciò che misero il renda; e spesso il dono
negato è grazia, ove concesso è pena.
Se mi vedi, io ti perdo e tu perdi.
Sta nell’arcano mio la tua fortuna.
né cupido desio roda, qual tarlo,
il tuo dolce riposo. Io so che desto
non prestar fede. Il loro amore è guasto;
invidia lo corruppe e fraude il regge.
Portin da te lontano il lor veleno
né t’infettino più. Se m’ami, o sposa,
chiedi all’alma il suo bene e non agli occhi.
Sarà lieto il tuo amor, sinch’ei fia cieco.
altra dote al tuo amor che un’alma umile.
Se il mio onesto desir ti offende e spiace,
merto fo dell’ossequio e mi do pace.
Parton Psiche ed Amor. Tranquilli e chiari
miro i tuoi rai, già sì sdegnosi e foschi.
cotesta tua sovranità di affetti.
non è che men divampi. A sé fa forza
Psiche amante è di Amor; ma l’ama ignoto.
Di scorgerlo ha vaghezza; e se lo scorge,
infelice divien. Tale è il suo fato.
e curioso affetto in cor di donna
ad ogni altro preval. Le due là scorgi
suore di Psiche. Lusinghiere in volto
ma di rabbia e di fraude il sen ricolme,
condurran l’opra al desiato fine.
L’alte vendette mie già son vicine.
ben fortuna è con noi. Qual merto ha Psiche,
a lei piovano in seno, a noi le angosce?
E me invidia divora, Orgia diletta.
Tutto in questo sì ricco almo soggiorno
Spiega al cenno di lei Zeffiro i vanni.
qui le rendano omaggio. Al par di loro
avrà ben tosto anche gli altari e i templi.
fia quello sposo, onde le vien tal sorte...
Taci. Non dir di più, che mi dai morte.
Psiche contenta è la maggior mia pena.
Tal più non sia. L’arti ho già pronte all’opra.
che il vostro amore a lui talor m’involi,
ne divide, o germane. Addio, non senza
amarezza dell’alma, addio, mie care.
ma il lasciarti infelice è il nostro affanno.
Altra di me più lieta il sol non vede.
La disgrazia maggior di chi è tradito
Tu m’empi di sospetto. Io son tradita?
Qual tuo ignoto amator...
Dona al suo dolce inganno un breve tempo,
che tarda non vien mai grande sciagura.
Qual gel mi stringe il cor? Parla, se m’ami.
L’oracolo di Delfo a te sovvenga;
e d’inganno uscirai. Non mente Apollo.
L’oracolo rammento. A Psiche sposo
sarà non uom ma fiero alato mostro.
sen viene e fugge il sole, ah, tremo in dirlo!
non è ch’orrido drago. Ei vien da Stige
queste a infettar, quando maggiore è l’ombra,
tosco e fiamma spirando, aure vitali.
di pompa e d’or, tutto è bugia del guardo,
Ei ti vieta il suo aspetto; e in caste piume
ti abbraccia un mostro e tu ti fingi un nume.
sento mancarmi. Ora l’arcano intendo
del suo venir, del suo partirsi ascoso
e del divieto minaccioso e rio.
Chi sa qual entro il petto idea rivolga...
potea ingoiarsi quell’immane belva,
sepolta nel gran ventre, anziché morta.
Doleria, Orgia, pietà. Già cadde il giorno;
ecco forse per me la notte estrema.
Orsù, questo nascondi acciar tagliente
e con esso recidi, allor che in sonno
profondo ei giace, l’esecrabil teschio.
semplice, col tuo amor. Su, questa prendi
aperta ella dilegui i tuoi timori.
degna sei de’ tuoi mali e tu li sai.
Batte il cor; cade il braccio; il piè vacilla;
mi sospinge desio, ragion mi arresta.
Ardo e agghiaccio; oso e temo; amo e abborrisco.
sia mostro o nume, il mio fatale amante;
di un gran piacere o di una gran vendetta.
Alza, su, vil mia destra, alza quel velo
le notturne dilegua... Oh dei! Che veggio?
Un mostro... Un mostro, sì... ma di beltade.
Dal biondo e sottil crine ambrosia stilla,
Bianche ali al tergo, a’ piè faretra ed arco
d’avorio sculto e d’oro e gemme intesto.
Venere, o non hai figlio o solo hai questo.
Oimè! Perfida face! Incauta destra!
Ardon l’argentee piume. Ei si risveglia.
Contra me foco e ferro? Ove ti ha tratta
altrui malvagitade e tua sciocchezza?
Paga ora sei? Mi ravvisasti? Io sono,
sì, de’ numi il più grande. Amor son io,
mi ferii da me stesso. Era tuo amante;
più degli dii, più di Amor forte ancora,
da te mi scaccia. Io parto, io fuggo, io volo,
pien d’ira, di dispetto e di furore
e d’odio ancor, se odiar potesse Amore.
Vedi Psiche svenuta e questo vedi
lieto albergo poc’anzi, or nudo scoglio.
Fuggiam dal suo dolor; fuggiam dall’ira.
Come fuggir, se custodita intorno
da spavento e rovina è l’erta rupe?
Zeffiro, a noi più volte amico e fido,
batte i placidi vanni al nostro scampo
e ne sostien sul dorso. Oimè! Già cado.
Tra sterpi e sassi lacerate e frante,
peran così quante malvagie ed empie
del bel regno di Amor turban la pace.
Ah, senz’amor non mai ma senz’amante.
L’amor mi sta nell’alma e invan mi fugge.
L’amante mi abbandona e invan lo cerco.
Oh perfide sorelle! Oh mia funesta
contamini tua morte. Il ciel tel vieta.
Vattene. Cerca Amor. Venere fuggi
che soffro è assai peggior di quel che temo;
il mio dolore non sarebbe estremo.
Veggo l’ira, o gran dea, né so l’offesa.
Chi fa il torto l’obblia, non chi ’l riceve.
L’are tu mi usurpasti, i voti, i templi.
Questa, qualunque sia, mia fral bellezza
non vien da me. Son qual mi fece il cielo.
E se qual femmi io piacqui, in che rea sono?
Nel volto mio piacque del cielo un dono.
Potea Psiche impedir gl’incensi e i voti?
ma fasto n’ebbe e amò l’error.
v’ha che ricusi esser in pregio? E tutti
veder divoti al suo dominio i cori?
Né le bastò. Trarre al suo carro avvinti
gli dii pretese; e osò sedurmi ’l figlio.
Al gran nume d’amor chi può far forza?
Non di contesa, di vendetta è tempo.
Tristezza ed Ansietà, mie fide ancelle,
viperini flagelli. E tu, superba,
ti apparecchia a varcar Stige e Cocito
e da quelle a recarmi onde funeste
i pregiati liquori, onde più terso
biondeggia il crine e porporeggia il labbro.
Pietà della tua Psiche, Amor, ti mova.
le fia difesa il figlio. Il mio potere
provò anch’ella quest’arco e questi strali
e del braccio d’Amor sa qual sia il peso.
A tempo usar convien minacce e preghi.
Or la madre è in furor, Psiche in periglio;
e in te parli l’amante e parli ’l figlio.
Ch’io mi pieghi a viltà con chi mi offende?
che di madre paventi; e se m’irrita...
Basta... Ancor mal conosce i dardi miei.
ch’abbian, quant’ella amore, odio per lei.
Sì sì, fa’ quanto puoi; minaccia, fremi,
né a Venere darai nuora mortale.
impenetrabil sia l’uscio ad Amore?
Ad onta tua ne trarrò Psiche.
reciderà l’inesorabil parca
Per le sacre di Stige acque tremende
Oimè! Tutto a’ miei danni?... Ah diva! Ah madre!
Pietà. Prostrato Amore ecco al tuo piede.
Alle lagrime mie rendi il mio bene.
Ah, se morir potessi anch’io con lei,
te con tanta viltà non pregherei.
Mi fai pietà. Vo’ consolarti, o figlio.
Viva Psiche e rivegga i rai del sole.
Ma tu lascia di amarla. Io d’altra sposa...
Pria spezzerò quest’arco e questi strali;
e farò senz’amor languir la terra;
né tu intorno più avrai piaceri e vezzi
ma smanie, teme, indifferenze e sprezzi.
Son giunte al soglio mio, figlia e nipote,
vostre querele. A ricomporle io scendo.
Tu, che l’arbitra sei, bella Ciprigna,
racconsola il tuo figlio; o temi un’ira
Sai pur che solo amor conserva il mondo
e l’orna e l’abbellisce e il fa giocondo.
E se amor nol sostien, quale è il tuo regno?
Qual possa ha sua beltà? Placati, o figlia.
che femmina mortal si usurpi i voti
e sia sposa al tuo figlio, olà, qui tosto
venga Psiche al mio aspetto. Ite veloci.
Ecco la fo immortal, dea la consacro;
e nettare ed ambrosia Ebe a lei porga;
e cada ogn’ira; ogni piacer risorga.
E cada ogn’ira; ogni piacer risorga.
Qual ben! Qual sorte! Ancor riveggo Amore?
Vivi, sia Amor tuo sposo. Io vi consento.
Oh assenso! Oh dono! Oh nodo! Oh godimento!
volumi del destin legge il mio sguardo.
Tempo verrà che un sì bel giorno onori
altra gloria, altro nome, altra beltade.
A lei, benché mortal, senza disdegno,
di più eccelsa virtù son colme il petto
anche Amor si dorrà , già sposo a Psiche,
Felice Oacre, ov’ella nasca! Ed Istro
più ancor felice, ove avrà impero e sposo!
degna più di regnar? Merto e grandezza
Pietà, fortezza, pudicizia, fede
vedrassi in trono al regio fianco assisa;
e pien del nome augusto udrassi intorno
ciel risponder e terra: «Elisa, Elisa».
volumi del destin legge il mio sguardo.
Tempo verrà che un sì bel giorno onori
altro amore, altra gloria, altro diletto.
che al suo popol sarà, per lui felice,
vero amor, forte amor, nobile amore.
non perché fia sovrano. A chi è vassallo,
si può tutto imperar, che non v’ha affetto
sciolto sì d’ogni legge e d’ogni giogo,
come l’amor. Ma i popoli, in mirarlo
per merto e per dover ameran Carlo.