Tacerò; ma a pro di un figlio (Prima a Palmira e poi ad Ormisda)
virtù parli e parli amor.
Sua virtù si è fatta orgoglio.
E reo vien di un giusto sdegno.
Ma la gloria egli è del regno; (A Palmira)
né vien reo chi è vincitor. (Ad Ormisda)
Sono amante e sono figlia;
ma quest’alma si consiglia
col dover, non coll’amor.
Sembra fasto ed è rispetto
ciò che svena un dolce affetto
al voler del genitor. (Si parte, servita a braccio da Cosroe e da Arsace, e vien seguita da’ suoi armeni)
Moglie, è ver, ma non più quella
tua delizia e tuo riposo.
Fiamma, ch’arde in cor di amante,
presto manca in cor di sposo;
e il possesso di un sembiante
fa ch’ei sembri men vezzoso.
Perché nacqui a regal sorte,
in voi perdo, o luci amate,
il mio bene, il mio piacer.
quanto invidio al vostro core
né il rispetto né l’amor.
alla madre od al fratello
Dio del giorno, alma del mondo,
qual da selce il foco ha vita,
vita un sasso a te pur diè.
Sol per te cadde trafitto
fier nimico al nostro piè.
Dio del giorno, alma del mondo,
Qui tributa al tuo gran nume
puro ossequio ed umil fé. (Gittano sul fuoco rami di alloro e fasci di palme)
Sacra fiamma il don consume
che l’omaggio è grato a te. (Facendo lo stesso)
Dio del giorno, alma del mondo,
qual da selce il foco ha vita,
vita un sasso a te pur diè. (Segue il ballo de’ ministri di Mitra, i quali poi partono, seguiti da Erismeno e da Mitrane)
del tuo cor, del tuo sembiante;
ma se quel reo fosse e vile,
né men questo io più amerei.
Sii tu forte e poi la sorte
far potrà ch’io tua non sia,
non mai torti, anima mia,
gl’innocenti affetti miei.
Che vuoi far, povero Arsace?
Dei pugnar contra il tuo core.
cercar danno e amar dolore.
per timor che dal flagello
sien le spiche biondeggianti.
Ma al soffiar di amico vento,
ad un tratto il nembo fugge;
si dilegua il suo spavento;
ed ei torna a’ giochi, a’ canti.
Riconosco in quell’ardore
il tuo fato ed il tuo core.
Se pietà lo ammorba o frena,
sol ti resta obbrobrio e pena
in retaggio ed in mercé. (Entra nella città)
Cor più degno di gran regno,
più magnanimo e più forte
del tuo, Cosroe, mai non fu.
Per lodar di Carlo il nome,
ci dà ardir la sua virtù.
Né ci affrena altro timore
che il rimorso, in dargli onore,