Metrica: interrogazione
81 ottonari in Ormisda Venezia, Pasquali, 1744 
   Tacerò; ma a pro di un figlio (Prima a Palmira e poi ad Ormisda)
virtù parli e parli amor.
   Sua virtù si è fatta orgoglio.
E reo vien di un giusto sdegno.
Ma la gloria egli è del regno; (A Palmira)
né vien reo chi è vincitor. (Ad Ormisda)
   Sono amante e sono figlia;
ma quest’alma si consiglia
col dover, non coll’amor.
   Sembra fasto ed è rispetto
ciò che svena un dolce affetto
al voler del genitor. (Si parte, servita a braccio da Cosroe e da Arsace, e vien seguita da’ suoi armeni)
   Moglie, è ver, ma non più quella
   Fiamma, ch’arde in cor di amante,
presto manca in cor di sposo;
e il possesso di un sembiante
fa ch’ei sembri men vezzoso.
   Perché nacqui a regal sorte,
in voi perdo, o luci amate,
il mio bene, il mio piacer.
quanto invidio al vostro core
   Non accuso. Non difendo;
né il rispetto né l’amor.
   Dio del giorno, alma del mondo,
   qual da selce il foco ha vita,
vita un sasso a te pur diè.
   Sol per te cadde trafitto
fier nimico al nostro piè.
   Dio del giorno, alma del mondo,
   Qui tributa al tuo gran nume
puro ossequio ed umil fé. (Gittano sul fuoco rami di alloro e fasci di palme)
   Sacra fiamma il don consume
che l’omaggio è grato a te. (Facendo lo stesso)
   Dio del giorno, alma del mondo,
   qual da selce il foco ha vita,
vita un sasso a te pur diè. (Segue il ballo de’ ministri di Mitra, i quali poi partono, seguiti da Erismeno e da Mitrane)
del tuo cor, del tuo sembiante;
ma se quel reo fosse e vile,
né men questo io più amerei.
   Sii tu forte e poi la sorte
far potrà ch’io tua non sia,
gl’innocenti affetti miei.
   Che vuoi far, povero Arsace?
Dei pugnar contra il tuo core.
   Dei nimico alla tua pace
sien le spiche biondeggianti.
   Ma al soffiar di amico vento,
ed ei torna a’ giochi, a’ canti.
   Riconosco in quell’ardore
   Se pietà lo ammorba o frena,
sol ti resta obbrobrio e pena
in retaggio ed in mercé. (Entra nella città)
   Regni dà natura e sorte;
   Cor più degno di gran regno,
   Per lodar di Carlo il nome,
   Né ci affrena altro timore
che il rimorso, in dargli onore,

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