Abbiam vinto. Amico regno,
n’è tuo frutto e gloria e pace.
Del fellon superbo e fiero
vedi il teschio. In suol straniero
insepolto il busto giace.
di qual fiamma avvampi il cor.
e ’l conforto al mio dolor.
Ti consiglio a far ritorno.
Col piacer che siate miei,
occhi bei, vi dico addio.
che in lasciarvi più non sento
Bocca bella, del mio duolo
non mi chieder il perché...
Non amarmi, non pregarmi.
è l’amare un cor crudele,
che l’amarne un traditor.
Il suo amor piange sprezzata,
ingannata, anche il suo onor.
Armi ha ’l ciel per gastigar
l’impietà su regie fronti;
suole irato e torri e monti.
Parto amante e parto amico,
che non nuoce amor pudico
Se nol credi o te ne offendi,
la fortezza di quest’alma,
D’ire armato il braccio forte
Duolmi sol che il fier rivale
sotto a questo acciar reale
Cara parte parte di quest’alma,
brami piaghe e vuoi svenarmi?
Da te parto e parto afflitto,
Ma poi tacqui il dolce nome
che più aggrava il mio delitto
e più accresce il tuo dolor.
Senti, senti questo core;
come immenso è in lui l’amore,
L’arte, sì, del ben regnar
da me il mondo apprenderà.
Può languir l’ira nel petto
Caro sposo, o di mia fede
nobil gloria, illustre oggetto,
Non mi dir di amarmi più,
tempo e sorte, amore e fé.
nostro augusto e nostro re.
tempo e sorte, amore e fé.