Metrica: interrogazione
71 ottonari in Faramondo Venezia, Nicolini, 1699 
   Più crudel negli occhi tuoi
   Sento già che ’l fier tiranno
e in mirarti un novo affanno
turba i sensi e passa al cor .
   Spera sì ma di placar
quel destin che t’è spietato.
   Cor non uso a paventar,
spesso a forza di costanza,
cangia i numi e vince il fato.
   Son rival, non infedele;
   Con lasciarlo in tante pene
   Chi ben ama ogni altro affetto
vuol che ceda e ’l fa tacer.
   Nel disio del caro oggetto
chi è di voi che mi risponda?
   Ah ’l piacer voi mi negate
perché ’l mio non è che pianto!
Pianto è sol che ’l cor m’inonda. (Esce Gustavo dal bosco e con ferro ignudo si avventa improviso alla vita di Faramondo. Adolfo lo rattiene ponendosi innanzi di lui. Ed intanto accorrono alla difesa di Faramondo i di lui soldati ch’erano in lontano)
   Mor la vita senza il core;
more il cor senza il suo bene.
   Ho la vita ove ho l’amore;
dal suo esempio apprenderà.
   Se morendo i puoi placar,
   A te do l’ultimo amplesso (A Clotilde)
e in partir l’ultimo sguardo (A Rosimonda)
   Crudo il porgi o pur pietoso,
   Da lo sdegno e da l’amore
   Dar perdono più non lice;
   Si punisca l’empio sì
né la vita... O dio! Di chi?
D’un suo figlio? Ah ch’ io l’adoro
   Vuoi vedermi il cor trafitto?
   La mia colpa è tua vendetta,
   L’alma brilla in sen tranquilla
   So che ’ncerto è ’l ben che spero;
   Voglio stragi e cerco affetti;
   Cadrà l’empio, avrò la vaga
che m’offende e che m’impiaga,
   Sì tacete... O dio! Pavento
   Voi restate e qui godete (A Clotilde e Adolfo)
   Ch’io do bando a’ miei tormenti,

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