Venceslao, Vienna, partitura (Il Venceslao)

 ATTO QUARTO
 
 SCENA PRIMA
 
 Prigione.
 
 CASIMIRO
 
 CASIMIRO
 Ove siete? Che fate,
955spirti di Casimiro?
 Io di più regni erede,
 io tra marmi ristretto? Io ceppi al piede?
 
    Dure ritorte,
 con braccio forte
960vi scoterò,
 vi spezzerò...
 
 Vuole il padre ch’io mora, ahi! che farò?
 Ch’io mora? È tanto grave il mio delitto?
 Ah! Sì. Per me cadde il fratel. Ma cadde
965senza colpa del core.
 Volea morto il rival. Ne ha colpa amore.
 Amor, sì sì, tu solo
 se’ mia gran colpa. O di Erenice, o troppo
 bellezze a me fatali, io vi detesto.
970Son misero, son reo, son fratricida,
 perché vi amai. Sono spergiuro ancora,
 spergiuro ed empio a chi fedel mi adora.
 
 SCENA II
 
 GISMONDO, poi LUCINDA, CASIMIRO
 
 GISMONDO
 Lucinda a te sen viene.
 CASIMIRO
 Lucinda a me? Per qual destino, o dei?
 LUCINDA
975(Secondi amor propizio i voti miei).
 CASIMIRO
 Regina... Dir non oso
 Lucinda, sposa, nomi
 in bocca sì crudel troppo soavi;
 leggo su la tua fronte
980la sorte mia. Tu vieni
 nuncia de la mia morte e spettatrice.
 Di buon cor la ricevo;
 ma la ricevo in pena
 d’averti iniquo, o mia fedel, tradita,
985se pur la ria sentenza
 sul labbro tuo morte non è ma vita.
 GISMONDO
 Desta pietà.
 LUCINDA
                         (Caro dolor). Custodi,
 al piè di Casimiro
 tolgansi le ritorte.
 GISMONDO
990Lo impone il re.
 CASIMIRO
                                Che cangiamento è questo?
 LUCINDA
 Da me la morte attendi?
 Crudel, da me?
 CASIMIRO
                               Da te che offesi.
 LUCINDA
                                                              Ingrato.
 CASIMIRO
 Ben ne ho dolor; ma indegno
 di tua pietade io sono;
995ed or, bella, a’ tuoi piedi
 chieggo la pena mia, non il perdono.
 LUCINDA
 Casimiro, altra pena
 non vo’ da te che l’amor tuo. Del primo
 tuo pianto io son contenta.
1000Godo di perdonarti
 e la vendetta mia sia l’abbracciarti.
 GISMONDO
 Prenci, non più dimore. Il re vi attende.
 CASIMIRO
 A che?
 LUCINDA
                Dal regio labbro
 l’alto voler ne intenderai.
 CASIMIRO
                                                Già scordo
1005vicino a te, mio bene, i mali miei.
 LUCINDA
 Io ti ottenni il perdon. Temer non dei.
 Andiamo. O gioia!
 CASIMIRO
                                     O sorte!
 A DUE
 Né sciolga un sì bel laccio altri che morte. (Segue a due)
 CASIMIRO
 
    Stringi...
 
 LUCINDA
 
                       Abbraccia.,,
 
 [A DUE]
 
                                               Questo petto.
 
 CASIMIRO
 
1010Mio conforto.
 
 LUCINDA
 
                            Mio diletto.
 
 A DUE
 
 E saprai che sia goder.
 
    Senti, senti questo core;
 come immenso è in lui l’amore,
 sommo ancora è ’l suo goder.
 
 SCENA III
 
 GISMONDO
 
 GISMONDO
1015Chi ’l crederia! Poc’anzi
 tutta in pianto Lucinda, or tutta in festa.
 Passa a lieto imeneo da feral palco
 il condannato principe. E diremo
 che su volubil rota
1020giri le umane cose instabil sorte?
 Eh! D’instabilità seggio è la corte.
 
    È la corte qual ciel nubiloso
 che a riflesso di sol luminoso
 si dipinge di vaghi colori.
 
1025   Ma sì tosto che il raggio vien meno,
 quell’immagin di falso sereno
 scende in piogge o si scioglie in vapori.
 
 SCENA IV
 
 Sala.
 
 ERENICE, poi ERNANDO
 
 ERENICE
 Urna, che del mio sposo
 chiuder dovrai le ceneri adorate,
1030ne’ tuoi pallidi marmi
 non ben mi piaci. Ancora
 ti manca il più bel pregio. Il cor vi manca
 di Casimiro. Io vel porrò...
 ERNANDO
                                                   Erenice,
 a te viene un amico ed un amante
1035ad unir le sue pene al tuo dolore.
 ERENICE
 Di vendetta si parli e non d’amore.
 ERNANDO
 Vendetta, sì, vendetta,
 quale a te si convien, quale ad Ernando,
 anch’io voglio, anch’io giuro.
 ERENICE
1040Quanto mi piace l’odio tuo!
 ERNANDO
                                                    Lo irrita
 amor nel tuo dolore.
 ERENICE
 E pur ritorni a ragionar d’amore.
 ERNANDO
 Amor, che non offende
 né la tua fé né l’amistà di Ernando,
1045non dee spiacerti. I mali tuoi nol fanno
 più ardito e baldanzoso. Egli è ben forte,
 ma disperato.
 ERENICE
                             E s’egli è tal, l’accetto;
 disperato è anche il mio.
 ERNANDO
                                                Tale il prometto.
 ERENICE
 Ti ricevo or compagno
1050del mio furore.
 ERNANDO
                               Andiamo. Io più di un seno
 ti additerò dove infierire.
 ERENICE
                                                 Andiamo.
 Ma tua sola mercede
 fia che Erenice a l’amor tuo dà fede. (Segue aria a due)
 
    Ricordati.
 
 ERNANDO
 
                         Lo so.
1055Non parlerò d’amor.
 
 ERENICE
 
 Parlami di furor.
 
 ERNANDO
 
 E di vendetta.
 
 ERENICE
 
    Tu che insepolta
 qui ancor t’aggiri,
1060gradisci e ascolta
 i voti e miei sospiri,
 ombra diletta.
 
 SCENA V
 
 VENCESLAO, poi GISMONDO
 
 VENCESLAO
 Nozze più strane e meno attese e quando,
 Polonia, udisti? Onor le chiede. Impegno
1065le stringe; e questa reggia
 ne serve a l’apparato e le festeggia.
 Ma...
 GISMONDO
             Si avvanza a’ tuoi cenni
 la regal coppia.
 VENCESLAO
                               Venga.
 Tu ciò che imposi ad affrettar t’invia.
1070Al principio de l’opra
 ben corrisponda il fin.
 GISMONDO
                                           Strane vicende!
 Vi figura il pensiero e non v’intende.
 
 SCENA VI
 
 CASIMIRO, LUCINDA e VENCESLAO
 
 CASIMIRO
 Degl’illustri sponsali
 questa è la reggia.
 LUCINDA
                                    E qui ti attende il padre.
 VENCESLAO
1075Figlio, in onta a tue colpe
 son padre ancora. Alor che morte attendi,
 agl’imenei t’invito e ti presento
 in Lucinda una sposa.
 Tutt’altro oggi attendevi,
1080fuorché un tal dono. Abbilo a grado. Il chiede
 tuo dover, mio comando e più sua fede.
 LUCINDA
 (Che mai dirà?)
 CASIMIRO
                                 Deh! Come
 è possibile, o padre,
 che sì tosto si cangi
1085la sorte mia? Dovea morir...
 VENCESLAO
                                                     Eh! Lascia
 memoria sì funesta.
 Pensa solo a gioir. Tua sposa è questa.
 CASIMIRO
 Caro più de la vita
 m’è ’l dono tuo. Lo accetto,
1090non perché tu ma perché amor lo impone;
 e a la bella Lucinda
 non mi sposa il timor ma la ragione.
 LUCINDA
 (E di gioia non moro?)
 VENCESLAO
                                             Or questa gemma
 confermi a lei la marital tua fede.
 CASIMIRO
1095Ma più di questa gemma
 te la confermi il core.
 LUCINDA
 Mio tesoro.
 CASIMIRO
                        Mio ben.
 A DUE, CASIMIRO, LUCINDA
                                           Mio dolce amore.
 VENCESLAO
 Sposi, sì casti affetti
 lasciar si denno in libertà.
 CASIMIRO
                                                  Due volte
1100mi fosti padre.
 LUCINDA
                              E vita
 ti deggio anch’io.
 VENCESLAO
                                  Regina,
 a l’onor tuo si è sodisfatto?
 LUCINDA
                                                   Appieno.
 VENCESLAO
 Sei paga?
 LUCINDA
                     In Casimiro
 tutta lieta è quest’alma e più non chiede.
 VENCESLAO
1105Egli è tuo sposo ed io serbai la fede.
 LUCINDA
 La fé serbasti.
 VENCESLAO
                             Addio. Null’altro, o sposi,
 qui oprar mi resta, orché la fé serbai.
 Ma Casimiro.
 CASIMIRO
                            Padre.
 VENCESLAO
 Deggio altrui pur serbarla. Oggi morrai.
 
 SCENA VII
 
 LUCINDA e CASIMIRO
 
 LUCINDA
1110Oggi morrai? Dirlo ha potuto un padre?
 Lucinda udirlo? Oggi morrai? Spietato
 giudice, iniquo re, così mi serbi
 la fé per più tradirmi?
 Mi dai lo sposo e mel ritogli? O tutto
1115ripigliati il tuo dono o tutto il rendi.
 Se mi se’ più crudel, meno mi offendi.
 E tu che fai? Che non ti scuoti? Il cenno
 udisti di un tiranno e non di un padre.
 Carnefice e’ vuol torti
1120la vita ch’ei ti diede e romper tutti
 gli ordini di giustizia e di natura.
 Né ti risenti? E soffri
 attonito la tua, la mia sciagura?
 CASIMIRO
 Lucinda, anima mia,
1125che far? Che dir poss’io? Veggo i miei mali
 e so di meritarli.
 Penso al tuo duolo e ti compiango. O sposa,
 misera sposa! giunta
 a vederti tradire,
1130a vedermi morire.
 LUCINDA
 Morir? Me forse credi
 sì vil, sì poco amante
 che soffrire il possa?
 Meco ho guerrieri; ho meco ardire; ho meco
1135amor, sangue, ragione.
 Ecciterò ne’ popoli lo sdegno;
 empierò d’ira il regno,
 di tumulto la reggia;
 tratterò ferro e foco;
 
1140   e se teco io non vivrò,
 teco, sposo, io morirò.
 
 CASIMIRO
 Disperati consigli amor ti detta.
 Che tu li segua è vano
 per te, per me funesto.
1145Un soccorso rifiuto
 ch’esser può mio delitto e tuo periglio.
 Il re mi è padre, io son vassallo e figlio.
 LUCINDA
 Crudel, sei sposo ancora.
 Serbi il nome di figlio a chi ti uccide.
1150Nieghi il nome di sposo a chi ti adora.
 CASIMIRO
 Anzi questo è ’l sol nome
 che più mi è caro. Io meco
 porterollo agli Elisi, ombra costante,
 e là dirò: «Son di Lucinda amante».
 LUCINDA
1155Va’ pur. Ti è cara, il veggo,
 la morte tua. Vanne; l’incontra; a l’empio
 carnefice fa’ core e ’l colpo affretta.
 Ma sappi, io pur morrò. Mi avrai ben tosto
 tua compagna a la tomba.
1160Spirerò sul tuo capo,
 caderò sul tuo busto
 dal ferro uccisa e dal dolor. Tu piangi?
 Ti sbigottisci? Il mio morir tu temi?
 Né temi il tuo? Crudel pietade! Priva
1165mi vuoi d’alma e di core e vuoi ch’io viva?
 CASIMIRO
 Sì, vivi. Il dono è questo
 che ti chieggo in morendo. Addio, mia sposa,
 degna di miglior sorte
 e di sposo miglior.
 LUCINDA
                                     Tu parti?
 CASIMIRO
                                                         Addio.
1170Tollerar più non posso
 la pietà di quel pianto. Andrò men forte,
 se più ti miro, andrò, mia cara, a morte. (Segue aria)
 
    Parto. Non ho costanza
 di rimirarti a piangere.
1175Sposa, ti abbraccio addio.
 
    Se più rimango, io moro.
 Ma non saria morir
 sugli occhi di chi adoro
 il morir mio.
 
 SCENA VIII
 
 LUCINDA
 
 LUCINDA
1180Correte a rivi, a fiumi, amare lagrime.
 Tolto da me lo sposo
 ha l’ultimo congedo.
 Più non lo rivedrò. Barbaro padre!
 Miserabile figlio! Ingiusti numi!
1185Su, lagrime, correte a rivi, a fiumi.
 Ma che giova qui ’l pianto? A l’armi, a l’armi.
 Giaché tutto disperi,
 tutto ardisci, Lucinda. Apriti a forza
 ne la reggia l’ingresso. Ecco già parmi
1190di svenare il tiranno,
 di dar morte a’ custodi,
 di dar vita al mio sposo e di abbracciarlo
 fuor di ceppi... Ahi! Dove son? Che parlo?
 
    Vaneggia la spene,
1195delira l’affetto;
 e intanto il mio bene
 a morte sen va.
 
    Lo salvo pietosa,
 lo abbraccio amorosa;
1200e ancora ristretto
 fra ceppi egli sta.
 
 Fine dell’atto quarto