Lucio Vero, Venezia, Niccolini, 1700

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Passeggio delizioso, il cui mezzo è vagamente occupato dagl’intrecciamenti degli alberi.
 
 LUCIO VERO, BERENICE e seguito
 
 LUCIO VERO
 Berenice, è già tempo
 che dal duol tu riscuota
 l’anima abbandonata. Assai donasti
 di costanza e di pianto
5al tuo genio pudico, a l’ombra illustre
 del tuo estinto amator né ancor tuo sposo.
 BERENICE
 Solo nel mio dolor sta ’l mio riposo. (Ad un cenno di Lucio Vero si allargano i rami industriosamente intrecciati e si scuopre una mensa lautamente addobbata, seguendo una improvvisa illuminazione di tutta la scena)
 LUCIO VERO
 (Olà!) Vieni, o regina,
 vieni, o di questa pompa,
10di questo ciel fregio più raro, e a questa
 lauta mensa real meco ti assidi.
 BERENICE
 Siedo, augusto. (Si serva
 al destino di Roma e agli astri infidi).
 
 SCENA II
 
 ANICETO, poi VOLOGESO, l’uno e l’altro con seguito di ministri, e li suddetti assisi a mensa
 
 ANICETO
 
    Geni augusti, eccelsi eroi,
15qui gareggia ogni elemento,
 più superbo e più contento
 ne l’offrirvi i doni suoi.
 
 VOLOGESO
 Io di piacer ministro,
 in questi di Lieo colmi cristalli
20dolce ardor, dolce foco a voi presento.
 BERENICE
 (Che mirate, occhi miei?)
 LUCIO VERO
                                                  Tu, dal cui labbro
 sì dolci escon gli accenti,
 ora in musiche note
 canta l’altrui beltà, canta il mio ardore.
 BERENICE
25(Sa ch’è un inganno e pur ne gode il core).
 VOLOGESO
 
    Amare una beltà,
 che mostri crudeltà,
 è quel soave amor
 che più goder ci fa.
 
30   Non ha piacer che alletti
 beltà senza rigor;
 e fa languir gli affetti
 la facile pietà.
 
 LUCIO VERO
 Regina, a ber t’invito; e tu mi porgi
35pien di greca vendemmia il nappo aurato.
 ANICETO
 Pronto ubbidisco.
 VOLOGESO
                                   (Amor m’assista e ’l fato). (Aniceto prende il bicchiere da Vologeso e lo presenta a Lucio Vero)
 LUCIO VERO
 Sia del primo bicchiere
 tua la gloria; un augusto
 ti serve di coppier. Bevi, o regina.
 BERENICE
40Troppo è l’onor; né a me tua schiava or lice
 ricusarlo, o signor.
 VOLOGESO
                                     No, Berenice. (Vologeso prende furioso il bicchiere di mano a Berenice e lo gitta a terra. Lucio Vero si leva di mensa e si avanza verso di Vologeso)
 LUCIO VERO
 Tant’ardir?
 VOLOGESO
                        L’altrui morte (A Berenice)
 tu accostavi al tuo labbro;
 e i doni d’un nemico
45più dovevi temer. Cesare, è tosco
 quel cui beve la terra;
 e sua pena divien ciò che da un mostro
 liberarla dovea. T’assolve il caso
 da l’odio mio. Perdei la mia vendetta.
50La tua comincia. Invitto
 l’attenderò. N’è degna
 più la sventura mia che ’l mio delitto.
 BERENICE
 (Egli è desso, cor mio).
 LUCIO VERO
 O tu, che al par de l’opre
55temerarie hai le voci e grido al nome
 da l’ire mie, da le tue colpe attendi,
 dimmi; quando ti offesi?
 Qual sei? Che cerchi? Ove ti spigne un cieco
 impero di furor, genio di morte?
60Uom non so ancor se disperato o forte.
 VOLOGESO
 Parto son io. Ristretti
 ecco in breve i miei torti.
 Per istinto e per legge
 a te, a Roma nemico, altro di grande
65non ho che l’odio mio; toglimi questo,
 son nome ignoto, ombra insepolta i’ vivo.
 Del mio re Vologeso
 meditai le vendette. A lui togliesti
 scettro, popoli e vita;
70né ti bastò. Ne la sua sposa, in quella
 ch’è sua dolce metà, più fiero insulti
 a le ceneri sue. Temi i tuoi numi;
 temi l’ombra real; temi il mio esempio.
 Non mancan mai pene e nemici a un empio.
 ANICETO
75Troppo audace favelli. (Snudando un ferro, va per ucciderlo)
 Da questo acciar...
 LUCIO VERO
                                    Ferma, Aniceto.
 BERENICE
                                                                   O dio!
 LUCIO VERO
 In carcer cieco, a più maturo esame
 si custodisca. Muore
 col reo tutta la colpa
80ma non tutta è punita. Uom vil non puote
 solo, schiavo ed inerme osar cotanto.
 VOLOGESO
 Tutta mia sia la pena,
 che ancor del colpo era mio solo il vanto.
 
 SCENA III
 
 LUCIO VERO, BERENICE ed ANICETO
 
 LUCIO VERO
 A l’orror del gran caso
85l’idea si tolga e torni
 lieta a goder. Vieni, o regina.
 BERENICE
                                                       Augusto,
 troppo ho l’alma in tumulto. A miglior tempo
 serbami il tuo favor.
 LUCIO VERO
                                        Vieni e t’assidi.
 Non sempre a le mie mense
90avrai doni funesti.
 ANICETO
 Lunge il dolor, questo di gioia è tempo.
 
 SCENA IV
 
 NISO e li suddetti
 
 NISO
 Sì sì, tempo è di gioia.
 Allegrezza, o signor.
 LUCIO VERO
                                       Niso.
 BERENICE
                                                   Che fia?
 ANICETO
 Parla.
 NISO
              In Efeso or ora
95giunser Claudio e Lucilla.
 LUCIO VERO ed ANICETO
 Lucilla?
 NISO
                  Sì, Lucilla.
 LUCIO VERO
 (Quella che inique stelle
 m’hanno ad onta del cor scielta in consorte).
 ANICETO
 (Quella per cui sta l’alma,
100sia destino o ragion, stretta in ritorte).
 BERENICE
 Donna sì illustre, onde l’impero e Roma
 leggi e cesari attende,
 avida è de’ tuoi sguardi.
 LUCIO VERO
                                               Ecco il primiero
 oltraggio di fortuna,
105rapirmi a Berenice.
 Vada Aniceto e affretti
 gli spettacoli e i giochi.
 ANICETO
                                            Or son felice. (Parte)
 LUCIO VERO
 
    Occhi belli, occhi vezzosi,
 benché fieri e disdegnosi,
110godo almen di rimirarvi.
 
    Che se foste a me pietosi,
 temerei per troppa gioia
 di morir nel vagheggiarvi.
 
 SCENA V
 
 BERENICE e NISO
 
 BERENICE
 Tu cui, dovunque aggrada,
115l’età, l’amor d’augusto
 danno facile ingresso,
 Niso, m’aita.
 NISO
                           In che giovar ti posso?
 BERENICE
 Fu poc’anzi ne’ ceppi
 tratto un mio fido. A lui
120fa’ ch’io parlar possa un momento, e sola.
 NISO
 Lieve uffizio m’imponi. A’ cenni tuoi
 ci vuol cesare servi.
 BERENICE
 Nuoce ogni indugio.
 NISO
                                        Ad ubbidirti or vado.
 
 SCENA VI
 
 BERENICE
 
 BERENICE
 Lunge, inutili pianti.
125Tolto è ’l maggior de’ mali. A me si rende
 ciò che piagnea. La cara vita è salva.
 Vive l’amato sposo e, in onta ancora
 del suo maggior periglio,
 sento l’alma tranquilla e asciutto il ciglio.
 
130   Sta piagnendo la tortorella,
 sinché è vedova e sinché è sola.
 
    Ma se trova il suo diletto,
 entro al nido e nel boschetto
 dolce canta e si consola.
 
 Collinetta con veduta di mare in lontano; porte chiuse della città dirimpetto che poi si aprono.
 
 SCENA VII
 
 LUCILLA, CLAUDIO e seguito di romani
 
 CLAUDIO
135Quanto, augusta, qui molli
 spirano l’aure e quanto
 son le spiagge fiorite, ameni i colli.
 LUCILLA
 
    Parlano l’aure e i liti
 qui sol del mio piacer.
 
140   E par che tutto inviti
 l’anima innamorata
 a più goder.
 
 CLAUDIO
 Ecco Lucio, ecco augusto.
 
 SCENA VIII
 
 LUCIO VERO con seguito esce dalla città; e li suddetti
 
 LUCIO VERO
 Qual destin, principessa,
145ti allontana dal Tebro? A che de’ venti
 t’espone a l’ire il genitor sovrano?
 LUCILLA
 Compie oggi l’anno appunto,
 signor, de’ tuoi trionfi. A che sì lungo
 fai che a quest’ermo lido
150Roma invidi il suo eroe? Là fosti atteso
 dal Senato e dal padre,
 non dirò dal mio cor. Teco egli venne.
 Pugnò coll’armi tue, coi voti suoi,
 testimonio fedel che la tua destra
155emulava il poter degli occhi tuoi.
 LUCIO VERO
 Vinsi, è vero; ma ’l vinto
 era ancora a temersi. Il mio soggiorno
 ozio sembra a’ Romani;
 ed a’ Parti è terror. La man che i vinse
160gli spaventa vicina; e l’Asia doma
 la pace impara anco a temer di Roma.
 CLAUDIO
 Di tua lunga dimora
 qualunque sia l’alta cagion, tu quella
 del venir nostro attendi e tu d’Aurelio,
165ch’è tuo cesare e mio, le leggi ascolta.
 Suo nunzio e suo ministro
 a te vengo, o signor. Sua figlia è questa,
 la cui man ti fa cesare e t’innalza
 al governo del mondo.
170Fu la partica guerra
 che ne interruppe il nodo. Ella è compiuta.
 De’ felici sponsali
 maturo è ’l tempo. Oltre del sol novello
 più non lice tardar. Cesare, Lucio,
175qual d’ambo i nomi a te più aggrada eleggi.
 O suddito o monarca,
 o rendi il lauro o serba il patto e reggi.
 LUCIO VERO
 Spesso un zelo indiscreto
 è colpa in chi è vassallo. E tempo e luogo
180scieglier dovevi e favellar più cauto.
 Pur tutto, Claudio, al grado
 di chi t’invia messaggio,
 tutto a l’amor di chi vien teco or dono;
 ma sappi che tuo cesare anch’io sono.
185(Finger mi giovi). A te, mia sposa augusta,
 ben fia nel nuovo giorno
 meglio noto il mio cuor. Tu vieni intanto
 de’ miei trionfi ad ammirar la gloria.
 LUCILLA
 Seguo, augusto, i tuoi passi,
190tua spettatrice insieme e tua vittoria.
 LUCIO VERO
 
    Vieni, o bella, col tuo volto
 le mie glorie ad illustrar.
 
    Là ogni sguardo in te rivolto
 lo splendor de’ miei trionfi
195lascierà di vagheggiar.
 
 LUCILLA
 
    Vengo, o caro, e nel tuo ciglio
 mirerò chi m’arde il cor.
 
    Vaga son del mio periglio;
 ma gran lume è di tua gloria
200la chiarezza del mio ardor.
 
 SCENA IX
 
 CLAUDIO
 
 CLAUDIO
 Affetti di Lucilla, io vi compiango;
 lusinghiero ed ingrato
 cesare vi tradisce. Ho già sol letto
 per voi dentro a quegli occhi odio e dispetto;
205ma non temer, Lucilla.
 
    Punirò con forte mano
 la tua offesa ed il suo fallo;
 
    e adempir saprò le leggi
 di romano e di vassallo.
 
 Parte rimota del palazzo corrispondente alle prigioni.
 
 SCENA X
 
 BERENICE, poi NISO e VOLOGESO con guardie
 
 BERENICE
 
210   Se fuor di catene
 strignessi il mio bene,
 momento felice,
 saresti pur caro.
 
    Ma strignerlo al petto
215fra’ ceppi ristretto,
 che amplesso infelice!
 Che giubbilo amaro!
 
 NISO
 Vedi s’è desso.
 BERENICE
                              O me felice!
 VOLOGESO
                                                       O vista!
 BERENICE
 Che non ti deggio? (A Niso)
 NISO
                                      Or meco
220date luogo, o custodi; e che improvviso
 non ci sorprenda alcun, cauti attendete.
 
 SCENA XI
 
 BERENICE e VOLOGESO
 
 BERENICE
 O Vologeso, o tanto
 già sospirato e pianto,
 mio dolce ben, mio sposo,
225tu in Efeso? Tu vivo? E ti rivedo?
 VOLOGESO
 Vivo, in Efeso e tuo,
 dopo un anno di pianti e di sospiri,
 Berenice adorata,
 tu mi vedi, io t’abbraccio.
 BERENICE
230Stringi, amor...
 VOLOGESO
                               Giove, eterna...
 A DUE
                                                             Un sì bel laccio.
 BERENICE
 Come estinto la fama
 ti pubblicò? Mi narra
 la serie de’ tuoi casi. I miei palesi
 l’affetto altrui, la mia costanza ha resi.
 VOLOGESO
235Nel dì fatal che cesse
 il destino de l’Asia a quel di Roma,
 fra’ cadaveri parti
 tutto piaghe anch’io giacqui. I miei più fidi
 da le stragi e dal campo
240trassermi esangue e fui creduto estinto.
 Fu lungo il male e periglioso. Alfine
 lo vinse arte e natura.
 Intesi alor te prigioniera; e quasi
 fece il dolor ciò che non seppe il ferro.
245Piansi, vedovo sposo,
 Berenice cattiva e piansi ancora
 negli affetti d’augusto
 Berenice infedel.
 BERENICE
                                  Ma fosti ingiusto.
 VOLOGESO
 Spinto da gelosia, d’ira e d’amore,
250qui venni ignoto. Amico
 Aniceto mi resi e ne la reggia
 m’aprì l’ingresso il canto
 che ne’ primi anni miei fu mio diletto.
 Ciò che tentai ti è noto.
255Ora son fra catene e son felice,
 poiché dar m’è concesso
 un congedo e un amplesso a Berenice.
 BERENICE
 Amplesso fra catene
 è misero piacer. Se ad ispezzarle
260può giovar sangue o pianto,
 pianto e sangue si versi.
 Vadasi a’ piè d’augusto...
 VOLOGESO
 Ah, Berenice, ah temi
 d’espormi a più gran mali.
265Un rival non si salva
 che per farlo più misero.
 BERENICE
                                                Il tuo rischio
 è vicin; che far posso?
 VOLOGESO
 Tenta altra via, se mi vuoi salvo. Questa
 per te inutile fia, per me funesta.
 
 SCENA XII
 
 NISO e li suddetti
 
 NISO
270Presto, regina.
 BERENICE
                              Niso.
 NISO
 Aniceto te chiede.
 VOLOGESO
 Intendo il mio destin.
 NISO
                                           Costui si renda
 al carcere, o custodi.
 BERENICE
                                        O dio! Pur breve
 è un momento felice!
 VOLOGESO
275Addio; se puoi, mi salva, o Berenice.
 
    Salvami pur, se puoi,
 dammi la libertà.
 
    Ma ti sovvenga poi
 che la tua fé mi è cara
280più che la tua pietà.
 
 SCENA XIII
 
 BERENICE ed ANICETO con guardie
 
 ANICETO
 Agli attesi spettacoli sol manca
 l’alto onor de’ tuoi sguardi.
 Là cesare ti attende. Ecco i custodi.
 BERENICE
 Parto, Aniceto, e lieta
285vi andrei con un tuo dono.
 ANICETO
 Ad augusto, al mio zelo
 servo nel tuo voler. M’apri ’l tuo core.
 BERENICE
 (Secondi il ciel ciò che mi detta amore).
 Nacque parto e vassallo a Vologeso
290quei cui spronò poc’anzi un cieco zelo
 al delitto infelice. A lui dee molto
 l’Armenia, il re mio padre e Berenice.
 Giusta è ben la sua pena e giusta è l’ira
 del tuo signor. Pur salvo il bramo.
 ANICETO
                                                               Ei troppo,
295regina, è reo.
 BERENICE
                           Ma reo per troppo zelo.
 ANICETO
 Chi più di Berenice
 può nel cesareo cuor? Sol che tu ’l chiegga,
 a te fia la sua vita un facil dono.
 BERENICE
 Ho ragion che mel vieta;
300e a te serbo l’onor del suo perdono.
 ANICETO
 Io...
 BERENICE
           Sì, caro Aniceto,
 tu del reo, tu del misero m’impetra
 e vita e libertà.
 ANICETO
                               Cedo, regina.
 Non avrai sparsi inutilmente i voti.
305Salverò il prigionier.
 BERENICE
                                         Se ’l cor d’augusto
 tu mi rendi pietoso,
 io d’un gran bene ed egli
 ti sarà debitor del mio riposo.
 
    Su la tua fede
310parto con speme,
 se non con pace.
 
    Quel fier dolore
 che in sen mi freme
 non lascia il cuore
315ma sol vi tace.
 
 SCENA XIV
 
 ANICETO
 
 ANICETO
 A che tanta pietà? Cotanto affanno
 perché? No, non m’inganno.
 Non è del volgo uom vile
 quegli per la cui vita
320fa voti una regina. Illustre il rende
 la colpa e la difesa.
 Ma qualunque egli sia, con la sua morte
 tolgasi d’un inciampo o d’un sospetto
 l’amor d’augusto e ’l mio.
325Lucilla è la mia vita; e tutto perdo
 s’ella è sposa d’altrui. L’oggetto amato
 Berenice le usurpi;
 e poi, chi sa? l’uomo a sé stesso è fato.
 
    Mi perdona, amato bene,
330se autor son de le tue pene;
 perché t’amo, ancor t’offendo.
 
    T’amo, sì; pur quel son io
 che, per farti acquisto mio,
 regno e sposo a te contendo.
 
 Anfiteatro illuminato con porta grande nel mezzo aperta.
 
 SCENA XV
 
 LUCIO VERO, LUCILLA, BERENICE, CLAUDIO e seguito
 
 LUCIO VERO
335Fan fede anche i diletti
 del romano poter. Questa è l’arena,
 dove già condannato
 a fronte di lioni, a petto d’orsi
 lotta il reo colla morte; e de’ suoi falli
340o lacerato a brani
 soffre il gastigo o vincitor ne ha gloria;
 e ne l’infame pena
 suo fregio e sua salute è una vittoria.
 BERENICE
 E qual cor non avrete
345duro e crudel, genti romane, in petto,
 se vi avvezza a le stragi anche il diletto?
 LUCIO VERO
 Chi di te l’ha più crudo? (A Berenice)
 LUCILLA
                                                Ai giochi, augusto,
 l’oricalco già invita.
 LUCIO VERO
                                      Andiamo, o belle;
 e la fatale arena
350resti libero campo a l’altrui pena. (Tutti al suon della tromba entrano per la gran porta, che poi si chiude, e vanno a prendere il loro posto nell’alto. S’apre poscia una porta minore al lato della scena e n’esce Vologeso in abito di gladiatore)
 
 SCENA XVI
 
 VOLOGESO e li suddetti
 
 VOLOGESO
 (A la pubblica vista, in vile ammanto,
 dove son tratto? Io ne l’arena? O stelle!) (Alza gli occhi e vede Lucio Vero, poi Berenice)
 A supplizio sì infame,
 cesare, i re condanni? E tu spergiura,
355così mi salvi? E siedi
 giudice e rea de la mia morte? (O pena!)
 LUCIO VERO
 Che veggio? Ah Berenice! (Berenice si gitta nell’anfiteatro)
 BERENICE
 Io spergiura a te sono?
 Eccomi, Vologeso,
360tua compagna al supplizio. Or di tua morte
 né rea né spettatrice (S’apre una picciola porta)
 non sarà Berenice. Ommai satolla,
 cesare, la tua rabbia.
 LUCIO VERO
                                         Olà, custodi...
 Aimè! Tardo fu ’l cenno. (N’esce una tigre)
 VOLOGESO
365Sposa, ti salva.
 BERENICE
                              Ecco la nostra morte.
 VOLOGESO
 Deh fuggi.
 BERENICE
                       Io prima...
 LUCIO VERO
                                             (Ah, che far posso?) Prendi,
 Vologeso, il mio ferro e ti difendi. (Lucio Vero gitta la sua spada a Vologeso, con cui va incontro alla tigre. Accorrono ad un cenno dell’imperadore i custodi de’ giuochi che finiscono d’ucciderla. Lucio Vero scende dall’alto e poco dopo rientra per la gran porta nell’anfiteatro, seguendolo Claudio, Lucilla, Aniceto e le guardie)
 BERENICE
 Genti, servi, custodi,
 accorrete, svenate
370l’ingorda belva e l’idol mio serbate.
 CLAUDIO
 Strano evento.
 LUCILLA
                              Andiam, Claudio. Io son tradita.
 VOLOGESO
 Cadde la belva.
 BERENICE
                               E tu ne uscisti illeso?
 VOLOGESO
 Salvo è ’l tuo Vologeso.
 BERENICE
 
    Dirai più ch’io sia spergiura?
 
 VOLOGESO
 
375Nol dirò, fedel consorte.
 
 BERENICE
 
    Gastigarti con più amarti
 voglio, o cuor di poca fede.
 
 VOLOGESO
 
    Fu mia pena assai più dura
 il terror de la tua morte.
 
 SCENA XVII
 
 LUCIO VERO, LUCILLA, ANICETO, BERENICE, VOLOGESO e CLAUDIO
 
 LUCIO VERO
380Tu lo tentasti? (Ad Aniceto)
 ANICETO
                              A l’opra
 fu stimolo il mio zelo.
 LUCIO VERO
 E ’l zelo tuo quasi mi rese ingiusto.
 ANICETO
 S’ei peria nel cimento,
 senza rivale era felice augusto.
 LUCIO VERO
385Re de’ Parti, t’abbraccio.
 Col tacermi il tuo grado
 fosti reo del tuo rischio. Un cieco obblio
 cuopra gli andati eventi.
 Accetta il mio perdono.
390Ecco a te, Berenice, il salvo e ’l dono.
 VOLOGESO
 Gran cesare latino...
 LUCIO VERO
                                       Andiam, coteste
 vili spoglie a depor.
 VOLOGESO
                                       Lascia che prima
 il tuo ferro ti renda,
 ferro che già mi vinse, or mi difese.
 LUCIO VERO
395La tua sola virtude illustre il rese.
 ANICETO
 (Mi tradì la mia frode).
 VOLOGESO e BERENICE
 (Gioia mi opprime).
 LUCIO VERO e LUCILLA
                                         (E gelosia mi rode).
 
 SCENA XVIII
 
 LUCILLA e CLAUDIO
 
 LUCILLA
 E così mi abbandona?
 Sugli occhi miei l’infido
400tanto fa? Tanto ardisce?
 
    Non favellarmi?
 Non rimirarmi?
 Partir così?
 
 Claudio, vedesti?
 CLAUDIO
                                   E meco
405di più ancora vedrai nel nuovo dì.
 LUCILLA
 
    Di quell’onde, che solcai,
 il mio sposo è più infedel.
 
    Io la patria abbandonai
 per mirar cogli occhi miei
410me infelice e lui crudel.
 
 Ballo di cavalieri custodi de’ gladiatori.
 
 Fine dell’atto primo