Odoardo, Venezia, Albrizzi, 1698

 ATTO TERZO
 
 Stanze di Riccardo.
 
 SCENA PRIMA
 
 EDUINO con guardie
 
 EDUINO
 
    Alma mia, sei tu schernita
 da chi amasti? Io ne ho timor.
 
    Se vogl’io con la speranza
 lusingarti e farti ardita,
880o non trovo in te costanza
 o ne ha solo il tuo dolor.
 
 Son captivo o son re? Mi stanno intorno
 custodi o servi? E questo
 m’è carcere o soggiorno?
885Ma che Riccardo a’ miei
 danni congiuri e mi tradisca alora
 che a lui m’affido? E ’l crederò sì iniquo?
 Ah se poté Metilde,
 Metilde, o dio! tradirmi, in chi avrò fede?
890Folle Eduin, potesti
 in cuor di donna averla? Ah donna ingrata,
 t’offesi, sì, ma non fu grave il torto,
 se fui da amor costretto.
 Dovea pur risarcirlo
895il grado offerto e ’l marital mio letto!
 
 SCENA II
 
 ENRICO ed EDUINO
 
 ENRICO
 (Occhi miei, che mirate?)
 EDUINO
                                                  A qual oggetto
 son riserbato ancora? Enrico vive? (Si guardano con stupore)
 ENRICO
 (Vive Eduin?)
 EDUINO
                              (Non lo svenò Riccardo?)
 ENRICO
 (Non cadé ne la pugna?)
 EDUINO
900(Saria questa una larva
 del mio timor?)
 ENRICO
                                (L’eccesso
 de l’odio mio forse dà corpo a un’ombra?)
 EDUINO
 (Occhi...)
 ENRICO
                     (Cuor...)
 A DUE
                                       (Non m’inganno).
 EDUINO
                                                                          (È desso).
 ENRICO
                                                                                               (È desso).
 EDUINO
 Enrico, è ver, senza stupor non posso
905mirarti in vita; io ti credea già estinto.
 Non aspettar che teco
 al commando fatal cerchi discolpe.
 Era tuo re, tu mio vassallo; e l’uso
 de la tua vita era mio dono; e al mio
910regio piacer potea donarla anch’io.
 ENRICO
 Di quale ingiusta autorità ti pregi?
 Non andrai, re tiranno,
 esente dal gastigo. I numi forse
 lo riserbaro a la mia destra.
 EDUINO
                                                     Infido,
915tanto oserai?
 ENRICO
                           Sì sì, crudel, t’uccido. (Snuda uno stilo per ucciderlo)
 
 SCENA III
 
 RICCARDO e li suddetti
 
 RICCARDO
 Ferma, Enrico, al tuo re?
 ENRICO
                                                Chi mi sospende
 una giusta vendetta?
 RICCARDO
                                         Il braccio stesso,
 a cui devi la vita.
 EDUINO
                                  (Ah che Riccardo
 m’è traditor).
 ENRICO
                            Non sempre, iniquo, a questo,
920a quest’acciaro ignudo
 un amico leal ti farà scudo.
 
    Parto, sì; ma ’l ciel, ch’è giusto,
 scaglierà le sue saette.
 
    Per punir la tua baldanza
925tarderà; ma la tardanza
 darà peso a le vendette.
 
 SCENA IV
 
 RICCARDO, EDUINO
 
 RICCARDO
 Signor, con occhio d’ira (Eduino si ferma, guardando fisso Riccardo)
 tu mi riguardi. In veder salvo Enrico
 nel tuo cuor mi condanni e reo ti sembro.
 EDUINO
930Ah Riccardo, Riccardo. (Scuotendo il capo)
 RICCARDO
 Ma se a qualche discolpa
 v’è per me luoco...
 EDUINO
                                    E che puoi dir?
 RICCARDO
                                                                  Vedrai
 che fedel ti son io, se t’ingannai.
 EDUINO
 Perfido! (Passeggi senza più guardarlo)
 RICCARDO
                    Or che dal primo
935impeto del furor l’alma hai composta,
 d’un ingiusto commando
 forse un tacito orror senti in te stesso.
 L’inganno approvi. Esecutor s’io n’era,
 più t’offendea.
 EDUINO
                              Così ubbidirmi? (Più furioso passeggi)
 RICCARDO
                                                               Intendo
940il poter di chi regna,
 il dover di chi serve.
 E di zelo e di fede
 più difficili prove a me dovevi
 chieder, o sire. In mezzo a l’armi, il sangue
945avrei sparso per te. Ti avrei seguito
 sino a l’ultimo spirto.
 Ma voler che il mio onor...
 EDUINO
                                                  Tu m’hai tradito. (Entra furioso seguito dalle guardie)
 
 SCENA V
 
 RICCARDO e poi GISMONDA
 
 RICCARDO
 Tradimento innocente
 che salva un regno... (Ecco Gismonda; affetti,
950non m’avvilite).
 GISMONDA
                                Alfin tu perdi il frutto
 de l’amor tuo.
 RICCARDO
                             Già lo perdei, Gismonda.
 GISMONDA
 Come?
 RICCARDO
                 Ah spergiura!
 GISMONDA
                                             Io, prence?
 RICCARDO
 Perché ingannarmi? A più gran meta alzasti
 i voti tuoi; perché tacerlo? E meco
955in volto lusinghier finger affetti?
 Amar altri e in catena
 me trattener? Gismonda,
 soffro l’amor ma de l’inganno ho pena.
 GISMONDA
 Generoso Riccardo,
960l’error confesso; amo Odoardo e solo
 sì gran merto potea torti il mio cuore.
 T’ingannava e rimorso
 in me ne avea; ma per salvar chi s’ama,
 che non si fa? Che non si soffre?
 RICCARDO
                                                             Ed ora
965a che serve la frode?
 GISMONDA
                                        A farti invitto.
 Deh conserva il tuo prence
 né a lui fia di gastigo un mio delitto.
 RICCARDO
 Datti pace, o Gismonda,
 per me non hai di che temer. Metilde,
970più difficil ne l’ira,
 resta a placar.
 GISMONDA
                             La placherà il mio sangue.
 Tu ne cerca altre vie. L’onor de l’opra,
 o magnanimo cuore,
 sia de la tua virtù, non del tuo amore.
 
975   T’amerei, che ne sei degno,
 se ancor fossi in libertà.
 
    Ma ben sai che poco è forte
 a spezzar le sue ritorte
 cuor che langue
980prigionier de la beltà.
 
 SCENA VI
 
 RICCARDO, METILDE ed ADOLFO
 
 ADOLFO
 Eccolo. (A Metilde)
 RICCARDO
                 (O dei!)
 METILDE
                                   Riccardo,
 che risolvesti? In pensier gravi immerso
 parmi vederti; e l’infedel Gismonda
 forse...
 RICCARDO
                No, principessa,
985cesse amore al dover. Gismonda amai
 ma più ’l mio re. Vinci tu ancor te stessa;
 e se resiste amore,
 nel tuo cuor lo spaventi
 timor di vita e gelosia di onore.
 METILDE
990Qual disonor? Qual rischio
 ne l’amor di Odoardo?...
 RICCARDO
 Metilde, attendi e darai fede al guardo.
 
    Ama il tuo cuore; pena anche il mio;
 e pur mi sforzo non amar più.
 
995   Con la ragione freno il desio
 e reggo il senso con la virtù.
 
 SCENA VII
 
 METILDE, ADOLFO e poi ENRICO
 
 ADOLFO
 (Che sarà mai?)
 METILDE
                                 Si vince amor ch’è fiacco;
 ma nel cuor di Metilde ad espugnarsi
 facil non è.
 ENRICO
                       Consorte.
 METILDE
                                           O numi! Enrico...
1000Traveggon gli occhi?
 ENRICO
                                        Io son Enrico, io vivo.
 Ti rassicura.
 METILDE
                          (O me infelice!) (Non lo miri)
 ENRICO
                                                          Il guardo
 volgi a me. Che paventi?
 METILDE
 Lasciami.
 ENRICO
                     Ch’io ti lasci?
 Perché?
 METILDE
                  Lo sa quest’alma.
 ENRICO
1005A che mi sdegni?
 METILDE
                                   (O fede! O amor!)
 ENRICO
                                                                      Metilde.
 METILDE
 Son gli occhi miei di rimirarti indegni. (Si volge a lui ed abbassa gli occhi)
 ENRICO
 Sposa leal, le tue ripulse ancora
 mi son pegno di fede. Il fier tiranno
 so che tentò... Ma ti consola, o cara.
1010Nulla ottenne l’iniquo
 né rea tu sei di sue lascivie. Onore
 illeso è in te, se fu pudico il cuore.
 METILDE
 (Più non è tal, colpa d’ingiusto amore).
 Ah Enrico! (Alzando gli occhi languidamente su Enrico; poi torni ad abbassarli)
 ENRICO
                        Eh, lascia il vano
1015Timor. Vinci i rimorsi.
 Tempo è d’oprar, non di lagnarsi. Estinto
 per te cada il tiran, ne la cui vita
 a te vollero i numi
 la gloria riserbar de la vendetta.
 METILDE
1020(Vive anco il re?)
 ENRICO
                                   Non lice
 tardar, si può perir. Vanne e l’affretta.
 
    Mio ben vezzoso,
 da’ pace al regno
 ma prima al cuor.
 
1025   Ei contro a l’empio
 sia tutto sdegno,
 verso al tuo sposo
 sia tutto amor.
 
 SCENA VIII
 
 METILDE ed ADOLFO
 
 METILDE
 Giusti dei, che fec’io? Qual freddo orrore
1030per le vene mi serpe?
 Non ho più cuor; non ho più sangue; e dove
 mi trasse amor? Così perdei me stessa?
 Tal le tue leggi infransi,
 santa onestà?
 ADOLFO
                            (S’agita e turba).
 METILDE
                                                             Ah Enrico,
1035era men rea te estinto.
 Ma se il tuo sangue ardir mi diede al fallo,
 la tua vita il corregga.
 Torna, torna in te stessa,
 mia smarrita ragione. Il tuo trascorso
1040figlio è d’amor né l’innocenza esclude.
 Anzi gloria è l’emenda.
 L’amar è fato e ’l non amar virtude.
 
 SCENA IX
 
 EDUINO, METILDE ed ADOLFO
 
 EDUINO
 (Qui l’iniqua?)
 ADOLFO
                               Ecco il re. (A Metilde)
 EDUINO
                                                   (Finger mi giovi).
 Adorato mio bene.
 METILDE
1045A chi parli, o crudel?
 EDUINO
                                         Parlo a Metilde
 che, infedele e spergiura, ancor m’è cara.
 METILDE
 La vita di Odoardo
 mi rimprovera pur. Finger mal sai
 sotto aspetto seren l’ire de l’alma.
1050L’arte comprendo e mi fa orror la calma.
 EDUINO
 Nobil pietà so che trattenne il colpo;
 e a beltà che si adori
 colpe più gravi amor perdona. Andiamo,
 cara.
 METILDE
             Dove?
 EDUINO
                            A regnar.
 METILDE
                                                L’Anglia un tiranno
1055non vuol per re; né da un delitto attendo
 la sorte mia.
 EDUINO
                          Metilde.
 METILDE
 Che vorrai dir?
 EDUINO
                               Sdegni non ho.
 METILDE
                                                             Né i temo.
 EDUINO
 Sconsigliata, tu perdi
 uno scettro real.
 METILDE
                                Tu più non l’hai.
 EDUINO
1060Ebbi la fede.
 METILDE
                           È vero.
 EDUINO
 Giurasti amor.
 METILDE
                              Lo so. Ma t’ingannai.
 
    Ti dissi «idolo mio»;
 e ’l labbro ti schernì.
 Giurai d’amarti anch’io;
1065ma fu un inganno.
 
    L’offeso mio cuor,
 alfin, traditor,
 dovea per te goder
 ma nel tuo affanno.
 
 SCENA X
 
 EDUINO ed ADOLFO
 
 EDUINO
1070Infelice Eduino,
 di te è deciso.
 ADOLFO
                            Ah mio signor!
 EDUINO
                                                          Tradito
 da’ miei più cari, in odio al mondo e in tale
 necessità di fato,
 che sperar posso? Invano
1075fuor de l’infame albergo
 cerco lo scampo. Io vidi
 balenarmi poc’anzi
 su l’acciaro fatal la morte agli occhi.
 Andrò in mano al fratel? Darò a Metilde
1080il piacer del mio sangue? Ah no! Fia meglio
 il colpo prevenir.
 ADOLFO
                                  Pur posso...
 EDUINO
                                                         Adolfo.
 ADOLFO
 Mio re.
 EDUINO
                 Taci. Tal era. Or l’uso a pena
 n’ho su me stesso; e questo ancor fra poco
 dal livor de la sorte a me fia tolto.
1085Tu puoi vietarlo.
 ADOLFO
                                 Io, sire?
 EDUINO
 (Miei timori, cedete; ho già risolto).
 Adolfo, se pur vive
 in te l’antica fede, a me qui reca
 tosco letal.
 ADOLFO
                      Che?...
 EDUINO
                                     Non opporti.
 ADOLFO
                                                               Ah sire!
 EDUINO
1090Ti attendo.
 ADOLFO
                       Ubbidirò.
 EDUINO
                                            Fato protervo!
 Tu costringi un monarca
 sin la sua morte a mendicar da un servo.
 
    Il piacer di farmi oltraggio
 non avrai, nemica sorte.
 
1095   L’alma ardita
 par che applauda al fier disegno;
 e sul fin de la mia vita
 io le insegno ad esser forte.
 
 Loggie reali.
 
 SCENA XI
 
 METILDE e GISMONDA da varie parti
 
 A DUE
 
    Quando s’ama, è una gran pena
1100il dover non amar più.
 
    E per forza di destino
 quando cara è la catena,
 trarre il cuor di servitù.
 
 METILDE
 Odoardo e Gismonda a me qui innanzi (Alle guardie che partono)
1105vengan tosto.
 GISMONDA
                           Ecco l’uno
 sodisfatto de’ voti.
 METILDE
 Gismonda...
 GISMONDA
                          Ecco, o Metilde, agli occhi tuoi
 e la mia colpa e l’amor mio presento.
 Sei tradita; ed io sola
1110tramai l’inganno. Io non dirò che caro
 Odoardo mi sia né ch’io l’adori.
 Prima ancor del mio labbro
 tel dissero abbastanza i miei languori.
 Se mediti vendette
1115scielga il giusto tuo sdegno
 la vittima che dee. Mora Gismonda;
 sol la sua vita ogni piacer t’invola.
 Viva Odoardo; il dono,
 che rival ti richiedo, è ’l morir sola.
 
 SCENA XII
 
 ODOARDO con guardie e le suddette
 
 ODOARDO
1120Se il colpevole io sono,
 perché morrai? Son miei, Metilde, i colpi;
 son mie le pene; io t’ingannai, ti offesi;
 non v’ha parte Gismonda.
 Eduino t’impose
1125la mia, non la sua morte.
 Ei si deve ubbidir. Tu n’hai la cura.
 Esser potria, se ne sospendi il colpo,
 un’inutil pietà la tua sciagura.
 METILDE
 Odoardo, Gismonda,
1130datevi pace. Ambo vivrete; in ambo
 conserverò un sol cuore.
 Saria troppa fierezza
 rapire al mondo un paragon d’amore.
 Obbliate, ven prego, e perdonate
1135un trasporto d’amor. Già nel mio seno
 il gastigo ne sento;
 né mi resta di lui che un pentimento.
 ODOARDO
 Generosa Metilde...
 METILDE
                                       A miglior tempo
 serba i tuoi sensi. Ecco in tua man ripongo
1140il sigillo real. Tu andrai là dove
 te con Riccardo il fior del regno attende.
 Ivi udrai le vicende
 del tuo destino. Hai per salire il trono
 sciolto il piè di catena.
 ODOARDO
1145Dopo un lungo tormento
 al mio piacer posso dar fede a pena.
 
    Credo al giubilo, se voi siete
 più tranquille, pupille adorate.
 
    Sfere voi del mio destino,
1150col dolor l’alma affligete,
 col seren la consolate.
 
 SCENA XIII
 
 METILDE e GISMONDA
 
 GISMONDA
 È possibile mai?
 METILDE
                                  Sì, mia Gismonda.
 GISMONDA
 Odoardo?...
 METILDE
                         Egli è tuo. Sola Metilde
 contender tel potea, se non rapirlo.
 GISMONDA
1155Né più l’ami?
 METILDE
                            Ah Gismonda,
 se ancor l’amassi, è in me già colpa il dirlo.
 GISMONDA
 Ma come mai?
 METILDE
                              Ti basti
 saper che sei felice. Al tuo contento
 dona tutta te stessa
1160né mi chieder ragion del mio tormento.
 GISMONDA
 
    Se mi rendi il caro bene,
 a te devo il mio piacer.
 
    Ma se penso a le tue pene,
 a me par di non goder.
 
 METILDE
 
1165   Godi pur del tuo contento
 né ti affliga il mio penar.
 
    Darò pace al mio tormento
 con l’onor del non amar.
 
 Luoco magnifico con trono destinato alla coronazion di Odoardo.
 
 SCENA XIV
 
 ODOARDO con seguito, RICCARDO ed ENRICO
 
 ENRICO
 Bell’onor del Tamigi...
 RICCARDO
1170Di grand’avi gran figlio...
 ENRICO
                                                Ecco, Odoardo,
 ti attende il soglio.
 RICCARDO
                                     E a te più brilli in fronte
 lo splendor del diadema. (Odoardo ascende sul trono)
 ENRICO
                                                 Omai vicina
 a goder miglior sorte
 a’ tuoi cenni...
 RICCARDO
                             Al tuo piè...
 A DUE
                                                    L’Anglia s’inchina. (Qui segue la coronazione)
 ODOARDO
1175Re sono, è ver. Morto il real germano,
 lo scettro è mio. Ma se mel dona il sangue,
 virtù mel serbi. In dar le leggi agli altri
 sarò legge a me stesso.
 Non fann’esser monarca
1180le corone o gli scettri,
 non le grane di Tiro o i regni immensi
 ma l’amor de’ vassalli e quel del giusto.
 Chi regna è re ma più chi regge i sensi.
 
 SCENA XV
 
 METILDE, GISMONDA e li suddetti
 
 METILDE
 Signor, di tue fortune io non son forse
1185l’ultima a goder teco.
 GISMONDA
                                         E a me ben puoi
 nel giubilo del volto
 legger il cuor.
 ODOARDO
                            Bella Metilde, in parte
 a te devo lo scettro;
 e a te, cara Gismonda,
1190godo offrirlo in mercede
 de la costanza tua, de la tua fede.
 RICCARDO
 Mio sire, or che ti veggio
 stabilito sul trono ed or che nulla
 si oppone a la tua sorte,
1195svelar ti deggio un innocente inganno.
 ODOARDO
 Di’, Riccardo, che fia?
 RICCARDO
                                           Vive il tiranno.
 ODOARDO
 Come? Vive il fratel?
 RICCARDO
                                         Sì, poco lunge
 quindi il celai.
 ODOARDO
                              Fa’ che a me venga. Il trono (Parte Riccardo)
 per abbagliarmi il guardo
1200non ebbe incanti; ancor qual era io sono.
 
 SCENA XVI
 
 EDUINO, RICCARDO e li suddetti
 
 EDUINO
 (Qual oggetto è mai questo?) (Odoardo scende dal trono)
 ODOARDO
 Vieni, o mio re; s’io già sul trono ascesi,
 se mi cinsi il diadema,
 se lo scettro impugnai, fu perché fede
1205diedi a la fama e ti credei già estinto.
 Già degli empi uccisori
 in me stesso volgea l’orrido scempio.
 Or che vivo ti scorgo,
 rendo al sangue ragion, giustizia al merto.
1210Vieni, torna al tuo soglio; io già ne scendo.
 Scettro, diadema e ciò ch’è tuo ti rendo.
 GISMONDA e METILDE
 (O dei!)
 EDUINO
                   No no, t’arresta. Odimi e teco
 m’oda Enrico, Metilde e l’Anglia tutta.
 A te, Odoardo, a te qui vengo in tempo
1215che de l’offese mie da te non posso
 né temer la vendetta
 né gradirne il perdon. De la mia sorte
 esser l’arbitro volli,
 esser volli il monarca e in vita e in morte.
 ODOARDO
1220Come, o signor?
 EDUINO
                                 Già serpe
 ne le viscere il tosco e già lo sento
 che si fa strada al cuore,
 senza darmi l’orror del pentimento.
 ODOARDO
 Deh ti salva. Ancor tempo...
 EDUINO
1225Né più v’è; né più ’l chiedo.
 Sei re de l’Anglia; io tal ti feci; e questo,
 questo è ’l grave delitto
 che in me punii; rimanti e regna; almeno
 non avrai tra’ vassalli
1230numerato Eduino. Ecco, a’ mie lumi
 s’oscura il dì... Vacilla il piè... La terra
 par che mi manchi... Adolfo.
 ADOLFO
 Signor.
 EDUINO
                 Sostienmi.
 ADOLFO
                                       Accorro pronto e ’l braccio...
 EDUINO
 Ah no! Si vada altrove
1235l’alma a spirar. Tanto di lena ancora
 lasciatemi, o del sen voi furie ultrici.
 Saria troppa sventura
 il morir sotto gli occhi a’ miei nemici.
 
 SCENA ULTIMA
 
 ODOARDO, METILDE, GISMONDA, RICCARDO ed ENRICO
 
 ODOARDO
 Crudel! Volle anche tormi
1240la gloria del perdon, timido forse
 dover la vita a chi bramò dar morte.
 RICCARDO
 Siam pur liberi tutti
 dal suo furor.
 METILDE
                            Tua torno, Enrico.
 ENRICO
                                                               O cara.
 GISMONDA
 Vi son altri perigli
1245per te, mio ben?
 ODOARDO
                                 T’arrise il cielo; e degno
 n’era il tuo amor. Gismonda,
 ecco la destra e con la destra il regno.
 TUTTI
 
    In sì bel giorno
 si sparga intorno
1250l’amor e ’l giubilo
 ad ogni cuor.
 
    E a la costanza
 serva di gloria
 la rimembranza
1255del suo dolor.
 
 Fine del drama