Il Narciso, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO PRIMO
 
 Monte Parnaso con due cime tutte intorno fiorite. A’ piedi del monte si stende una vaga pianura, circondata da piante di varie sorti. Nel mezzo del monte alcuna capanna pastorale.
 
 SCENA PRIMA
 
 CIDIPPE e NARCISO vengono discendendo dalle due cime del monte cantando e alle radici poi s’incontrino
 
 CIDIPPE, NARCISO
 
        non
 Se            volevi amar,
         tu
 
 A DUE
 
 cor mio, la natura,
 
 CIDIPPE, NARCISO
 
                    men
 di tempra           dura,
                     più
 
 A DUE
 
 doveati formar.
 
 CIDIPPE
5Ben mi parea ch’oggi più bella e chiara
 l’alba sorgesse e più dell’uso il colle
 fiorisse, or che ti veggo,
 mia delizia e mio sol, gentil Narciso.
 NARCISO
 E a me parea che nube impura intorno
10togliesse agli occhi miei
 la primavera o il giorno, or che ti veggo,
 mio tormento e mio orror, ninfa importuna.
 CIDIPPE
 Mira là quelle rose,
 del mio gran foco accese, aprono il seno.
 NARCISO
15E tu que’ gigli osserva,
 sparsi del ghiaccio mio, fann’ombra al prato.
 CIDIPPE
 Perché ti fer le stelle
 sì bello e sì crudel?
 NARCISO
                                      Sol perché avessi
 a piacerti e a fuggirti.
 CIDIPPE
                                          A’ lidi, a’ venti
20dunque ognor spargerò pianti e lamenti?
 NARCISO
 Lascia d’amar.
 CIDIPPE
                              Ciò che consiglia il labbro
 distruggon que’ begli occhi.
 NARCISO
                                                     O parti o ch’io...
 CIDIPPE
 Deh, almeno per pietà...
 NARCISO
                                               Cidippe, addio.
 CIDIPPE
 
    Partirò per compiacerti,
25tutta affanno e tutta amor.
 
    Crude belve, oscure selve,
 a voi torno e forse avrete
 più pietà del mio dolor.
 
 SCENA II
 
 Coro di cacciatori e di levrieri, che parte vengono dal monte, parte dalle capanne e parte da’ lati della scena, e NARCISO
 
 PRIMA PARTE DEL CORO
 
    Non v’ha piacer più grato
30che viver senza amore in libertà.
 
 SECONDA PARTE
 
    Le selve, il monte, il prato
 di belve impoverir.
 
 TERZA PARTE
 
    Né prigionier languir
 d’una crudel beltà.
 
 TUTTI
 
35   Non v’ha piacer più grato
 che viver senza amore in libertà.
 
 NARCISO
 Voi pastori e voi ninfe,
 cui non di molli, effemminati amori
 punge cura lasciva
40ma di onesto piacer nobil desio,
 già dell’usata caccia
 giunta è l’ora opportuna. Andiam là dove
 spingon le antiche selve
 di Elicona e Parnaso al ciel la chioma,
45dove il patrio Cefiso,
 con l’umide sue braccia, il sen feconda
 della fiorita sponda,
 ove l’Asopo, ove l’Ismeno irriga
 le verdi piagge e le campagne amiche;
50andiam ninfe e pastori.
 Altro diletto è questo
 che pianger per un seno,
 sospirar per un labbro e in ozio vano
 spenderne gli anni, onde all’età matura
55di un bugiardo piacer ne resti solo
 il pentimento e il duolo.
 
 CORO
 
    Non v’ha piacer più grato
 che viver senz’amore in libertà.
 
 SCENA III
 
 ECO, NARCISO e coro
 
 ECO
 Narciso, i passi arresta; Eco sen viene
60a partir teco e le fatiche e i rischi.
 NARCISO
 Vien pur, ninfa gentil, te sola io trovo
 uniforme a’ miei voti.
 Tu cara a me, poiché di amor non senti
 le pungenti quadrella e a me non stanchi
65con sospiri importuni il casto udito.
 ECO
 (Oimè! L’esempio altrui cauta mi rende).
 NARCISO
 Vedi gli stolti amanti, il volto e gli occhi
 sparsi di orror, di lacrime, le voci
 da’ singulti interrotte, esempio insieme
70di pietà e di terrore.
 Sol così premia i suoi vassalli amore.
 ECO
 Così in amor si pena,
 quando è crudel, come tu sei, chi s’ama.
 Ma di amor corrisposto
75gioia non v’ha che ben pareggi ’l prezzo.
 Più di una ninfa, in simil cure esperta,
 più di una volta udii lieta ridirmi:
 «Fortunato pastor, ninfa beata,
 cui di far tocca in sorte
80quel dolcissimo cambio
 di cor con cor, d’alma con alma». O sorte
 degli Elisi più dolce! Aure felici
 che, que’ labbri baciando
 più soavi spirate! Ove la mente
85figurarsi può mai destin migliore?
 Così anche premia i suoi vassalli amore.
 NARCISO
 
    Sento dir che Cupido è un tiranno...
 
 ECO
 
 Ma un tiranno che reca diletto...
 
 NARCISO
 
    Che avvelena col labbro che ride.
 
 ECO
 
90Che ravviva col labbro che uccide.
 
 NARCISO, ECO
 
 Cruda morte           debole
                         di un                    petto.
 Dolce vita                 nobile
 
 NARCISO
 Ninfa, se men mi fosse
 noto il tuo cor, di giusto sdegno acceso,
 direi...
 ECO
                Frena, o Narciso,
95l’ira inutil del labbro. A garrir teco
 un mio delirio e non amor mi guida.
 NARCISO
 Non di garrir ma di partirsi è tempo.
 Fuggon rapide l’ore e il dì s’avanza.
 ECO
 (Cor mio, non disperar. Ci vuol costanza).
 NARCISO
100Fuor della tana il bosco
 già circondan le belve, il monte e il piano
 sente gli urli primieri; e impazienti
 danno i molossi il lor latrato ai venti.
 CORO
 
    Alla caccia, alla caccia.
 
 NARCISO
 
105   Scorrete intorno
 e valli e monti
 e piani e selve
 di belve in traccia.
 
    Con tal diletto
110del lungo giorno
 si passan l’ore.
 L’ozio di amore
 così si scaccia.
 
 SCENA IV
 
 ECO
 
 ECO
 Che fier destino è il mio!
115Doverti amar né poter dir: «T’adoro».
 Aver la morte in seno
 né poter dir: «Crudele, io per te moro».
 Oso appena a me stessa,
 per timor d’irritarti,
120confidarne il secreto.
 Io temo gli occhi miei, temo il mio labbro;
 e per piacerti, oh dio! teco mi fingo
 inimica di amor, quando più t’amo.
 Così mi lice almeno
125seguirti ovunque vai. Posso asciugarti
 su la fronte i sudori e del mio petto
 far morbido guanciale a’ tuoi riposi.
 Così talor mi lice
 stringer la mia con la tua destra; e mostri,
130qualora il core oppresso
 l’orme del suo dolor m’invia sul volto,
 sebben tu non gl’intendi e non gli senti,
 mostri qualche pietà de’ miei tormenti.
 
    Occhi belli, occhi vezzosi,
135benché fieri e disdegnosi,
 godo almen di rimirarvi.
 
    Che, se foste a me pietosi,
 temerei per troppa gioia
 di morir nel vagheggiarvi.
 
 SCENA V
 
 URANIO e LESBINO
 
 URANIO
140Sì, mio caro Lesbino,
 nell’amor di Cidippe
 fui felice una volta e l’infedele
 pianse al mio pianto, arse al mio foco un tempo.
 Ma qual donna non cangia e voti e cure?
145La mia fede è tradita. Io son lo stesso
 ma non Cidippe. O di altro bello accesa
 o ad altre cure attenta, allorché incontro
 mi faccio a que’ begli occhi,
 piena di sdegno e d’ira,
150o s’infinge o mi fugge o non mi mira.
 LESBINO
 Te felice, o pastor, che almen provasti
 quante gioie dar possa un grato amore.
 Ebbe almen qualche tregua,
 nell’uso de’ piaceri, il tuo dolore.
155Solo Lesbin si strugge
 nel continuo suo pianto, è per lui tolta
 ogni speranza, ogni diletto e solo
 pasce la rimembranza
 dell’altrui crudeltà, del proprio duolo.
 URANIO
160Un continuo dolor perde le forze,
 si fa natura e istupidisce i sensi.
 Ma più fiero ei divien, quando lo scuote
 dal suo lungo letargo
 un passagger diletto.
 LESBINO
165È gran pena d’un core
 un bramato piacer né mai goduto.
 URANIO
 Maggior pena diventa
 la memoria del ben, quando è perduto.
 LESBINO
 All’inutile gara
170diam fine, Uranio. Meglio
 fia il risanar che l’inasprir le piaghe.
 Tu per Cidippe ed io per Eco ardiamo.
 URANIO
 Che dobbiam far?
 LESBINO
                                    Narciso,
 d’ambe le ninfe e di noi pure amico,
175benché di amor nimico,
 sappia il nostro desir, ne presti aita.
 Chi sa...
 URANIO
                  Tirreno intanto,
 genitor di Cidippe,
 so che arride al mio amor, loda i miei voti
180e ne ha tentata in mio favor la figlia.
 LESBINO
 Eh, Uranio, poco è dolce
 quell’imeneo cui più di amor congiunge
 violenza paterna.
 Vedi la vite all’olmo
185volontaria si sposa e l’edra al faggio.
 URANIO
 Lesbin, non ben l’intendi. Oh quante volte
 quella, che amor non vinse, ha vinto un bacio!
 D’ogni beltà più fiera e più ritrosa
 è un incanto il piacer. Tal l’angue appunto
190a una grata armonia l’ire si scorda
 né più il tosco letal spira dagli occhi.
 Addio, pastore. Addio.
 LESBINO
 Secondi ’l cielo il tuo desire e il mio.
 URANIO
 
    Piaghi Imeneo quel cuor
195che già poté di amor
 frangere il dardo.
 
    E vinca un bacio solo
 chi ben non seppe vincere
 un labbro sospirando
200e lagrimando un guardo.
 
 SCENA VI
 
 LESBINO
 
 LESBINO
 Che non vince in amor lunga costanza?
 Anche la quercia annosa,
 che più volte schernì l’ire degli euri,
 alfin rovina; e la gelata selce
205a’ replicati colpi
 di una rigida man scoppia in faville.
 Tal la mia ninfa io spero,
 bench’abbia più di quercia e più di selce
 duro e gelido il cor, spero che a forza
210di lungo amor, di salda fé, deponga,
 pietosa al dolor mio,
 e l’antica durezza e il gel natio.
 
    Chi sa
 che non ritrovi un dì
215pietà nel fiero cor
 la mia costanza.
 
    Sento che il mio dolor
 tu lusinghi così,
 dolce speranza.
 
 SCENA VII
 
 Grotta di ninfe a foggia di tempio,
 
 TIRRENO, coro di sacerdoti, di pastori e di ninfe
 
 CORO
 
220   O gran dee, che custodite
 queste selve e questi fiori,
 aggradite i nostri doni
 e l’amor de’ nostri cori.
 
 TIRRENO
 Omai del sacro rogo
225l’odoroso alimento unite, o voi,
 sacri ministri, e voi,
 innocenti pastor, vergini caste. (Il coro innalza in forma di altare un rogo, in cui tutte le ninfe gettano i loro fiori. Sacrifizio)
 CORO
 
    O gran dee, che custodite
 queste selve e questi fiori,
230aggradite i nostri doni
 e l’amor de’ nostri cori.
 
 TIRRENO
 Or d’incenso e di nardo
 spargete il rogo acceso, onde alle stelle
 in odorati nembi ’l fumo ascenda.
235Ecco dall’aureo nappo
 su la fiamma, che stride, io verso questo
 liquor, cui già sudaro
 le vendemmie cretensi, e questa verso
 dal cristallo più terso
240linfa innocente e pura.
 Also, il vasel d’argento
 dammi, perché ne spruzzi
 del più candido latte
 le leggere faville; e voi fra tanto
245accordate giulivi
 all’alme dee, ninfe e pastori, il canto.
 CORO
 
    O gran dee, che custodite
 queste selve e questi fiori,
 aggradite i nostri doni
250e l’amor de’ nostri cori.
 
 TIRRENO
 Fausti del sacrifizio
 son tutti i segni; ecco, la vampa è chiara
 e non obbliqua ascende
 né di tetro vapor l’aria si adombra;
255ecco lampo sereno,
 con passaggera luce,
 balenare a sinistra e quindi al volo
 batter candide piume il lieto augello;
 ed ecco della fiamma
260agli ultimi deliqui, il cener sacro
 qual soave fragranza intorno spira.
 
    Con auspici sì felici
 tutto lieto per noi sarà.
 
    Non i campi il nembo sordo
265abbatterà;
 non gli armenti il lupo ingordo
 infesterà.
 
 Il fine dell’atto primo