Ambleto (Zeno e Pariati), Venezia, Rossetti, 1705

 ATTO PRIMO
 
 Portici interni della reggia.
 
 SCENA PRIMA
 
 FENGONE, assalito da sicari, e GERILDA da un altro lato con guardie
 
 FENGONE
 Ah traditori! Olà, custodi, aita.
 GERILDA
 Al vostro re? Felloni,
 vi costerà la vita.
 FENGONE
 Inseguitegli, o fidi, e nel lor capo
5recatemi un trofeo del valor vostro.
 Per te vivo, o consorte.
 GERILDA
                                            (Iniquo mostro).
 FENGONE
 Tanto deggio al tuo amor.
 GERILDA
                                                 Di’ al mio dovere,
 che in me trovi la moglie e non l’amante.
 FENGONE
 Sposa di un anno ancor nemica?
 GERILDA
                                                             Ancora
10l’ombra vien di Orvendillo, il morto sposo,
 a turbar nel tuo letto i miei riposi.
 «Quel che stringi» ei mi dice
 «è ’l carnefice mio. Queste ferite
 opre son del suo braccio;
15e se nol vieta il cielo,
 quel braccio istesso alza già il ferro e in seno
 già lo vibra di Ambleto, il caro figlio.
 E tu, barbara madre, empia consorte,
 e lo soffri? E lo abbracci?» Oh dio! Dagli occhi
20si dilegua frattanto
 l’ombra col sonno e sol vi resta il pianto.
 FENGONE
 Ah! Gerilda, Gerilda,
 e quai sonni trar posso
 se non di amor, di sicurezza almeno
25a te nemica in seno?
 GERILDA
 Odi, Fengon. Son tua nemica, è vero.
 Bramo il tuo sangue, bramo
 la mia vendetta. Esser vorrei tuo inferno
 per dare a me più furie, a te più doglie;
30ma con tutto quest’odio io ti son moglie.
 
    Nel tuo sen, crudel, vorrei
 vendicare il mio dolor;
 
    ma si oppone a’ sdegni miei
 quella fede che ti diede
35la virtù, non mai l’amor.
 
 SCENA II
 
 FENGONE e SIFFRIDO
 
 SIFFRIDO
 Grazie agli dei. T’inchino
 fuor di periglio, o re. (Perfida sorte!)
 FENGONE
 Di Gerilda l’amor mi tolse a morte.
 SIFFRIDO
 Ma qual duolo ancor serbi?
 FENGONE
40Goder poss’io con mille insidie al fianco?
 SIFFRIDO
 Del felice tuo impero
 meglio intendi il destin. Vinta è l’Allanda.
 FENGONE
 Trofeo di Valdemaro, il duce invitto.
 SIFFRIDO
 Veremonda è tua schiava.
 FENGONE
                                                  (Anz’io sua preda).
 SIFFRIDO
45Ambleto è in tuo poter.
 FENGONE
                                             Pur ne pavento.
 SIFFRIDO
 Che puoi temer d’un forsennato? Han tolto
 tante sciagure il senno a l’infelice.
 FENGONE
 Fors’egli finge.
 SIFFRIDO
                              È gelosia di regno.
 FENGONE
 Siffrido, un gran timore ha un grande ingegno.
50Cada egli pur.
 SIFFRIDO
                             Ch’ei cada?
 Qual frutto avrai? D’odio e d’infamia.
 FENGONE
                                                                       E ognora
 dovrò temerne?
 SIFFRIDO
                                I tuoi sospetti accerta.
 FENGONE
 Ma per qual via?
 SIFFRIDO
                                  Di Veremonda un tempo
 non arse il prence?
 FENGONE
                                      (Anch’io ne avvampo). È vero.
 SIFFRIDO.
55Non gli è madre Gerilda?
 FENGONE
 De’ suoi primi sponsali unico frutto.
 SIFFRIDO
 Può a fronte di beltade o di natura
 l’arte coprirsi? E se pur anche Ambleto
 sforza gli affetti e fa tacere il sangue,
60fanne a mensa real l’ultima prova,
 che fra le tazze il simular non giova.
 FENGONE
 Saggio consiglio e non si tardi l’opra.
 Tosto la real caccia
 vanne, amico, a dispor. Me chiama intanto
65di Valdemaro il merto a la sua gloria.
 SIFFRIDO
 Già serve al tuo destin sorte e vittoria.
 FENGONE
 
    Smanie di re geloso,
 datevi un dì riposo,
 stanche di più penar.
 
70   Schiavo di rio sospetto,
 son condannato e astretto
 me stesso a paventar.
 
 SCENA III
 
 SIFFRIDO e poi VEREMONDA
 
 SIFFRIDO
 Vanne, o crudel. Non sempre
 la morte fuggirai ch’io ti preparo.
75Al caro padre ed al german diletto,
 da l’odio tuo svenati,
 questa vittima io deggio e ’l fatal colpo...
 (Qui Veremonda? Il suo dolor mi accora).
 VEREMONDA
 
    Empia sorte, a me togliesti
80e comando e libertà.
 
    Ma non nasce il mio dolore
 da miseria o da catene.
 
    Quel che piango è un maggior bene,
 già delizia de l’amore,
85or oggetto a la pietà.
 
 SIFFRIDO
 Principessa, al tuo pianto
 fa ragione il mio duol.
 VEREMONDA
                                           La mia sciagura
 comincio a meritar, se tu la piangi.
 La pietà di un fellon giusta la rende.
 SIFFRIDO
90Ciò che par fellonia, sovente è fede.
 VEREMONDA
 Arte è d’anima rea finger virtude.
 SIFFRIDO
 Mal si giudica il cor sol da l’esterno.
 VEREMONDA
 Ma l’opre sono il testimon del core.
 SIFFRIDO
 Non muove il mio che zelo, fede e onore.
 VEREMONDA
95Del tuo ucciso monarca
 rispettar l’uccisor, servir l’iniquo
 distruttor de la patria,
 mirar da l’empio, e sofferirlo e amarlo,
 il regno desolato e sin ridotto
100a la miseria, oh dio! degna ch’io sempre
 l’accompagni col pianto, il regio erede,
 questo è onor? Questo è zelo? E questa è fede?
 SIFFRIDO
 È ver...
 VEREMONDA
                 Parti. Usar teco
 più lunga sofferenza
105o diventa mia colpa o mio tormento.
 SIFFRIDO
 Credimi reo; mi assolverà l’evento.
 
    Credimi, sì, qual vuoi,
 perfido e traditor; non ho discolpa.
 
    Ma in mezzo agli odi tuoi,
110più sento il tuo dolor che la mia colpa.
 
 SCENA IV
 
 VEREMONDA e poi AMBLETO con ILDEGARDE
 
 VEREMONDA
 Il so. Non ha discolpa il tradimento;
 ed è lusinga... Ah! Che vegg’io?
 ILDEGARDE
                                                           Che pensi? (Ad Ambleto)
 AMBLETO
 Vorrei saper...
 ILDEGARDE
                             Che mai?
 AMBLETO
                                                 Perché non piange
 l’aurora in cielo, or ch’è prigione il sole.
 ILDEGARDE
115(Vezzose frenesie!)
 VEREMONDA
                                      (Pietoso oggetto!)
 AMBLETO
 Io vi conosco, sì.
 Tu Clizia sei che siegui (Ad Ildegarde)
 ma senza speme, intendi ben, di Apollo,
 che non ti ascolta, i passi.
120Tu Citerea. Ravviso (A Veremonda)
 in quel ciglio, in quel labbro Amore assiso.
 ILDEGARDE
 (Vaneggia e m’innamora).
 VEREMONDA
 (L’idea de’ primi affetti ei serba ancora).
 Ambleto, ormai da’ pace...
 AMBLETO
                                                  A chi favelli?
125Quest’Ambleto dov’è? Dov’è?
 ILDEGARDE
                                                        Tu ’l sei.
 AMBLETO
 Io Ambleto? E dov’è il padre?
 Dove i vassalli? Veremonda? Il trono?
 Ambleto è morto. Io l’ombra sol ne sono.
 VEREMONDA
 (Misero prence!)
 ILDEGARDE
                                  Ove ten vai? Che cerchi?
 AMBLETO
130Cerco il cor che perdei.
 ILDEGARDE
 (Core di sì bel seno almen foss’io).
 VEREMONDA
 (Tu non sei senza cor, se tieni il mio).
 Ma quando lo smarristi?
 AMBLETO
 Alor che la mia pace a me fu tolta.
 VEREMONDA
135Chi tel rapì?
 ILDEGARDE
                          Chi lo possiede?
 AMBLETO
                                                          Ascolta.
 
    A questi occhi giunse un dì
 la bellezza con amor
 e per gli occhi in sen mi entrò.
 
    Quando poi da me partì,
140se ne uscì con essa il cor
 e l’amore vi restò!
 
 ILDEGARDE
 Dunque ancor sei amante?
 AMBLETO
 Ma dove, dov’è Ambleto?
 Dov’è il mio cor? Forse in quel sen racchiuso? (A Veremonda)
145No no, ch’egli è di neve
 e ’l mio povero core è tutto foco.
 VEREMONDA
 (Mi struggo di pietade).
 ILDEGARDE
                                               (Ardo di amore).
 Veremonda, che tardi? A Valdemaro
 nel suo nobil trionfo
150la tua dimora il più bel fregio invola.
 (Così col bel che adoro io resto sola).
 VEREMONDA
 Si ubbidisca la sorte.
 Le sventure di Ambleto
 veder senza morir più non poss’io,
155perché il duol, ch’ei non sente, è dolor mio.
 
    Nel furor de’ suoi deliri
 trovo ancor la sua beltà.
 
    E l’affetto
 dice a me che i miei sospiri
160son di amor, non di pietà.
 
 SCENA V
 
 ILDEGARDE ed AMBLETO
 
 ILDEGARDE
 (Or si tenti ’l destin). Prence.
 AMBLETO
                                                        Non vedi?
 Partito è ’l sol; tutto si oscura il giorno.
 Deh! Nasconditi, fuggi.
 ILDEGARDE
 Almen...
 AMBLETO
                   Vanne al destino e di’ che ormai
165faccia spuntar quel giorno, in cui si stia
 col diadema real...
 ILDEGARDE
                                    Chi?
 AMBLETO
                                                La pazzia.
 ILDEGARDE
 Sentimi.
 AMBLETO
                    Hai tu ’l mio scettro?
 Hai tu ’l mio regno?
 ILDEGARDE
                                        In questo sen l’avrai.
 AMBLETO
 Incauta farfalletta,
170l’ali perder potrai,
 se del tuo foco ai rai qui più ti aggiri.
 ILDEGARDE
 Sembran furie e son grazie i suoi deliri.
 
    Non so qual sia
 maggior follia,
175o ’l danno de la mente o ’l mal d’amore.
 
    So ben che uguali
 son questi mali,
 il viver senza senno e senza core.
 
 SCENA VI
 
 AMBLETO
 
 AMBLETO
 Questa sola mi resta, iniqui fati,
180per le miserie mie strada infelice?
 Ciò che sperar dovea
 da la madre, da’ sudditi, dal sangue,
 dal pudico amor mio, dal mio valore,
 m’imponete ch’io deggia ad un inganno?
185Pur se giova, si finga; e i giusti sdegni
 cuopra follia, purché si viva e regni.
 
    Stelle, voi che de’ regnanti
 le fortune in ciel reggete,
 proteggete la mia speme.
 
190   Se placate un dì mirate
 l’innocenza de’ miei pianti,
 già respira e più non teme.
 
 Piazza per gli spettacoli.
 
 SCENA VII
 
 VALDEMARO con seguito e poi VEREMONDA
 
 VALDEMARO
 
    Tromba in campo e spada in guerra
 più non armi i suoi terrori.
195Abbiam pace, abbiam vittoria.
 
    Volto il ferro in miglior uso,
 sol le glebe apra a la terra
 e coltivi eterni allori,
 Dania invitta, a la tua gloria.
 
 VEREMONDA
200Eccomi, Valdemaro. A’ tuoi trionfi
 servano pur di Veremonda i ceppi.
 Tuo pregio è ch’io li tragga ed è mio vanto
 trargli in trofeo senza viltà di pianto.
 VALDEMARO
 S’io per tuo scorno o per mio fasto agli occhi
205de la Dania ti esponga, a te lo dica
 quel rispettoso amor...
 VEREMONDA
                                            Di amor non parli
 a infelice beltà chi tal la rese.
 VALDEMARO
 Del nemico le offese
 risarcirà l’amante.
 VEREMONDA
210Tardo è ’l riparo e la cagion n’è vile.
 VALDEMARO
 Non condannar di tua beltà i trofei.
 VEREMONDA
 Se piacciono a un nemico,
 son ribelli al mio cor fin gli occhi miei.
 
 SCENA VIII
 
 FENGONE con guardie e li suddetti
 
 FENGONE
 Fra queste braccia ed a l’onor di questi
215spettacoli di gioia
 vieni, illustre campione, invitto duce.
 Vincesti; eguale al merto
 premio si dee. Tua sia la Falstria. È degno
 che stringa scettro il difensor d’un regno.
 VALDEMARO
220Si è vinto, o gran monarca,
 con l’armi tue, con la tua gloria. Pure
 se qualche prezzo a l’opra
 vuoi conceder, signore, ecco i miei voti.
 Suddita a le tue leggi
225Falstria rimanga. In dono od in mercede
 sol si dia Veremonda a la mia fede.
 FENGONE
 Duce...
 VEREMONDA
                No. A Veremonda,
 benché vinta e cattiva,
 si lasci in libertà ch’ella risponda.
230La ragion, che ti diero armi e fortuna
 su la mia vita, è tuo trofeo. Di questa,
 Valdemaro, disponi. Io son tua spoglia.
 Ma che ingiusto tu voglia
 stendere ancor sovra gli affetti miei
235l’autorità della vittoria e ’l frutto,
 soffri ch’io ’l dica, è tropp’orgoglio, o duce.
 Libera ho l’alma e in lei
 le tue conquiste alcun poter non hanno.
 Tu se’ mio vincitor, se vuoi mia vita;
240ma se pensi al mio cor, se’ mio tiranno.
 E tu, signor che in fortunato impero
 reggi la Dania ed hai propizio il fato,
 non ti abusar del suo favor. Sostieni
 contro un superbo amor la mia costanza;
245né soffrir che trionfi
 su le perdite mie l’altrui baldanza.
 FENGONE
 In me, vergine eccelsa,
 non troverai, qual pensi, un re nemico.
 Rasserena il bel volto e tutto attendi
250da un re che ti assicura (e che ti adora).
 VALDEMARO
 (Delusi affetti, e non morite ancora?)
 FENGONE
 Se a le tue brame, o duce,
 Veremonda si oppone, il re ne assolvi;
 pur non andrai senza mercé. Qui tosto
255venga Ildegarde. Intanto
 meco ti assidi. (A Veremonda)
 VEREMONDA
                               O ciel! Deh! Col mio duolo
 del trionfo il piacer non si funesti.
 FENGONE
 Tutto a te si conceda.
 VEREMONDA
 
    Ne la mia
260sfortunata prigionia
 sospirando ti dimando
 questa sola libertà.
 
    Quando un’alma non è in calma,
 piange solo
265le ragioni del suo duolo
 e piangendo amar non sa.
 
 SCENA IX
 
 FENGONE, VALDEMARO e poi GERILDA
 
 FENGONE
 Vieni, o duce, agli onori.
 VALDEMARO
 Meco piangete, o sfortunati amori.
 GERILDA
 Fermati, o re.
 FENGONE
                            Consorte.
 GERILDA
270A un sol passo che inoltri, avrai la morte.
 FENGONE
 Come?
 VALDEMARO
                 Che?
 GERILDA
                             Già ruina
 la fatal pompa.
 VALDEMARO
                              O precipici orrendi!
 GERILDA
 E si apron tombe ove i trionfi attendi.
 FENGONE
 Ed è ver ch’io ti deggia...
 GERILDA
275La vita, sì, per mia sciagura, iniquo.
 FENGONE
 Ma chi l’inganno ordì? Come, o Gerilda,
 a te ne giunse il grido?
 VALDEMARO
 Parla, scuopri l’infido.
 GERILDA
 Si svelò il tradimento;
280si taccia il traditor. Dir quel dovea
 la moglie di Fengon. Tacer dee questo
 la moglie di Orvendillo.
 FENGONE
 Chi mi lascia in timor, mi vuole in rischio.
 GERILDA
 Piacemi che principi
285sin da la mia pietà la mia vendetta.
 FENGONE
 Deh! Consorte diletta...
 GERILDA
                                             Addio. Rimanti
 salvo per me, per me di vita incerto.
 Prega gli dei che tutti
 mi giungano a l’orecchio i tuoi perigli,
290che di me non avrai miglior difesa.
 Ma ti vegliano ancora
 tanti nemici e tante insidie intorno
 che possibil non è la tua salvezza.
 Stanno l’odio e la morte a le tue soglie;
295temi ciascun; sol non temer chi è moglie.
 
 SCENA X
 
 FENGONE, VALDEMARO, ILDEGARDE
 
 FENGONE
 Duce, vedesti mai
 più severo favor? Pietà più cruda?
 VALDEMARO
 Stupido resto e temo.
 ILDEGARDE
 Qui per tuo cenno...
 FENGONE
                                       Bella.
 ILDEGARDE
300Tal parvi agli occhi tuoi,
 quando...
 FENGONE
                     Frena l’accuse. In Valdemaro
 avrai chi risarcisca
 l’infedeltà d’un re. Tu sei sua sposa.
 Ti sorprende la gioia? In Ildegarde,
305duce, avrai la mercé del tuo valore.
 Ti confonde il piacer?
 VALDEMARO
                                          (Di sdegno avvampo).
 ILDEGARDE
 A Valdemaro io sposa?
 FENGONE
 Sì, l’arte io so d’una beltà ritrosa.
 ILDEGARDE
 Del tradito amor mio
310così compensi il danno?
 FENGONE
 Eh! Che i grandi in amor legge non hanno.
 
    Or prepara amor due dardi
 e sen viene al vostro cor.
 
    E per darvi eguale ardor,
315nel balen de’ vostri sguardi
 due facelle accende amor.
 
 SCENA XI
 
 ILDEGARDE e VALDEMARO
 
 ILDEGARDE
 Vanne, o perfido, va’. Sentimi, o duce,
 non è disprezzo, no, non è rifiuto
 il negarti la destra; è una ragione
320del cor ch’è già perduto in altri lacci.
 VALDEMARO
 Con l’esempio del mio, lodo il tuo core.
 Ma dimmi, ami Fengone?
 ILDEGARDE
                                                  Adoro Ambleto.
 VALDEMARO
 Siegui ad amarlo. (Essa un rival mi toglie).
 Io Veremonda.
 ILDEGARDE
                               Siegui.
325Segui e spera mercé. Le sue catene
 la renderan men fiera.
 VALDEMARO
 Essa troppo è crudele.
 ILDEGARDE
                                           Eh! Siegui e spera. (Parte)
 VALDEMARO
 
    La speme del nocchiero è in una stella;
 e ne la speme ha la sua stella amore.
 
330   Se l’uno è abbandonato, ahi, che procella!
 Se l’altro è disperato, ahi, che dolore!
 
 Parco reale.
 
 SCENA XII
 
 GERILDA e SIFFRIDO
 
 SIFFRIDO
 Due volte il fato estremo
 pendé sul capo al regnator tiranno.
 GERILDA
 E due volte per me non cadde l’empio.
 SIFFRIDO
335Ma, regina, perché? Tu stessa al colpo
 sproni la fede e poi la man disarmi?
 GERILDA
 Chi sa oprar e tacer, può vendicarmi.
 SIFFRIDO
 Solo a Gerilda io confidai l’arcano.
 GERILDA
 Far che ’l sappia Gerilda, egli è un tradirlo.
 SIFFRIDO
340E una moglie regina
 tacer potrà ciò ch’io tentai?
 GERILDA
                                                    Ti affida.
 Se la trama perì, l’autor n’è salvo.
 SIFFRIDO
 Ma non hai salvo il figlio,
 cui dal trono sovrasta odio e periglio.
 GERILDA
345O dei!
 SIFFRIDO
               Qui ’l re. Cela il tuo duol.
 
 SCENA XIII
 
 FENGONE con seguito e li suddetti
 
 FENGONE
                                                              Siffrido,
 persiste ancor nel suo tacer Gerilda?
 SIFFRIDO
 Seco perduta è l’arte.
 GERILDA
 Piace, perch’è tua pena, a me l’arcano.
 SIFFRIDO
 Comanda un re.
 FENGONE
                                 Prega un marito.
 GERILDA
                                                                  È vano.
 FENGONE
350Furor ti regge e tu ragion lo credi.
 Ma poiché la salute
 d’un fellone ti è a cuor, più che la mia,
 ceda l’amor. L’esempio tuo si siegua.
 L’odio, il furor non si risparmi omai.
 GERILDA
355Ah! T’intendo, o tiranno.
 FENGONE
 Tu mi chiami tiranno e tu mi fai.
 GERILDA
 Dove pensi ferirmi, il cor mi dice.
 Moglie non temo e temo genitrice.
 Pur senti, io non impetro
360lagrimosa al tuo piè che viva il figlio.
 Ambleto e, se non basta,
 pera anche il regno, anche Gerilda mora;
 ma il carnefice tuo fia vivo ancora.
 
    Minacciami, lusingami
365con l’odio o con l’amor. Saprò tacer.
 
    Se vieni sposo amante,
 dirò: «Non vo’ goder»;
 se barbaro regnante,
 dirò: «Non so temer».
 
 SCENA XIV
 
 FENGONE e SIFFRIDO
 
 FENGONE
370Qui, Siffrido, saprò se Ambleto sia
 o politico o stolto.
 Qui verrà Veremonda.
 Tu parti. Un cauto amore
 quand’ha chi osservi, ha i suoi riguardi e tace.
 SIFFRIDO
375E beltà, quando è sola, è ancor più audace.
 
 SCENA XV
 
 FENGONE e poi VEREMONDA
 
 FENGONE
 Viene la bella. O quale
 mi si accende nel sen voglia amorosa!
 Ma finché rode il petto
 tarlo di gelosia, taccia l’affetto.
 VEREMONDA
380Eccomi a’ cenni tuoi.
 FENGONE
                                         Mia principessa,
 che a te non toglie il grado
 chi ti tolse l’impero, a me chiedesti
 di frenare il desio di Valdemaro.
 Il feci, o bella.
 VEREMONDA
                             E fu cortese il dono.
 FENGONE
385Per me non fosti al suo trionfo esposta,
 spettacolo infelice.
 VEREMONDA
 E fu dono gradito il mio contento.
 FENGONE
 Or di mia cortesia, de’ doni miei
 ti chieggo una mercé.
 VEREMONDA
                                          Giusta? L’avrai.
 FENGONE
390Ambleto già ti amò; tu pur l’amasti.
 Vo’ saper s’ei sia folle o s’ei s’infinga.
 Già m’intendi. A momenti
 qui giungerà. Con esso
 rimanti in libertà. Lascia che sfoghi
395senza contrasto il genio antico o parli
 in sua balia, qual parla altrui, da stolto.
 VEREMONDA
 Cieli!
 FENGONE
              Ei vien. Qui mi celo e qui l’ascolto. (Si ritira)
 
 SCENA XVI
 
 AMBLETO da cacciatore e VEREMONDA
 
 AMBLETO
 
    Quante belve han queste selve,
 tante furie ha questo petto.
 
 VEREMONDA
400(Ch’io conspiri a tradir l’idolo mio?)
 AMBLETO
 
    Tormentato, lacerato,
 sente il mal...
 (Che vegg’io? Qui Veremonda?)
 
 VEREMONDA
 (In sen palpita l’alma).
 AMBLETO
405(Dopo tante tempeste ecco una calma).
 VEREMONDA
 (Sfortunato cimento).
 AMBLETO
 (Son pur solo, o speranze).
 VEREMONDA
                                                   (Ahi! Che far deggio?)
 AMBLETO
 (Or le dirò che sol d’amor vaneggio).
 O del mio cor fiamma innocente e chiara,
410quest’è pur... Ma che fia? Né meno un guardo?
 VEREMONDA
 (Mi fa ingegnosa il rischio suo). (Scrive col dardo in terra)
 AMBLETO
                                                             (Pur solo
 mi veggio. A che tacer?)
 VEREMONDA
                                               (Leggesse almeno).
 AMBLETO
 Eccoti al piè, misero sì ma sempre...
 (E tuttavia mi sdegna?) (Guarda per la scena)
 VEREMONDA
415(Incauto ei cancellò le fide note;
 ma le rinnovi il dardo. Amor mi aita). (Torna a scrivere in terra col dardo)
 AMBLETO
 (Son perduto. Ma infida e sorda e ingrata
 sappia quant’io l’adoro; e s’ella poi
 pietà mi niega e fede,
420qui se le mora al piede).
 
    Volgetevi pietose, o luci amate,
 almeno a rimirar le mie ferite.
 
 VEREMONDA
 Io ti ho ferito? Mira
 il ferro del mio dardo. Ei del tuo sangue
425tinto non è.
 AMBLETO
                        (Che leggo? «Il re ti ascolta».
 Intendo). Lascia, sì, lascia, mia dea,
 ch’io baci un sì bel dardo.
 VEREMONDA
                                                 (Amor mi arrise).
 AMBLETO
 Ma nel baciarlo ei mi addolcì le labbra.
 Dimmi, l’hai tu di nettare o di mele
430sparso, Cintia gentil, Cintia, mio nume?
 VEREMONDA
 Che favelli? Non vedi?
 Son Veremonda che Orvendillo un giorno...
 AMBLETO
 Che parli di Orvendillo?
 
    Si cancelli un sì bel nome
435e dai faggi e da le rupi.
 
 VEREMONDA
 Perché?
 AMBLETO
                  Perché? Mel divoraro i lupi.
 VEREMONDA
 (O cauto o forsennato, ei dice il vero).
 AMBLETO
 Senti, Diana. Han queste selve un mostro
 fiero e crudel, degno de’ nostri dardi.
440Tu mi reggi la destra e a te divoto
 ne recherò l’orrido teschio in voto.
 VEREMONDA
 Deliri, o prence.
 AMBLETO
                                 Taci. Ecco la fera
 tra quelle frondi. O che bel colpo!
 VEREMONDA
                                                               Ferma.
 
 SCENA XVII
 
 FENGONE e li suddetti
 
 FENGONE
 Cotanto audace?
 AMBLETO
                                 E chi se’ tu? Rispondi.
 VEREMONDA
445Il re. Che? Nol conosci?
 AMBLETO
 Il re? Ah, ah, ah. Un satiro tu sei;
 guardati, bella dea, crudo e lascivo,
 nemico de le leggi e degli dei.
 FENGONE
 (Si avvalora il sospetto).
 AMBLETO
450(L’ira qui può tradir la mia vendetta).
 VEREMONDA
 Ambleto, ove ten vai?
 AMBLETO
                                          Giove mi aspetta.
 
    Quand’io torni, voi vedrete
 che il baleno, il lampo, il folgore
 meco in terra io porterò.
 
455   Le tempeste, le comete,
 il terror, la strage, il fulmine
 e la morte in pugno avrò.
 
 SCENA XVIII
 
 FENGONE e VEREMONDA
 
 FENGONE
 (Sono anche incerto). Il prence
 forse delira e ’l suo maggior delirio
460fu ’l partirsi da voi, luci adorate.
 VEREMONDA
 A chi parli?
 FENGONE
                         A’ tuoi lumi ed al tuo core.
 VEREMONDA
 Tiranno. O del mio nome
 troppo debol virtù, se non spaventi
 sì temerario ardire! Ardir tropp’empio,
465se de la mia virtude oltraggi il lume!
 FENGONE
 Empio, no, nol chiamar. Chiamalo cieco,
 perch’è un ardir d’amore.
 VEREMONDA
                                                  E parli meco?
 Tu re marito a Veremonda amori?
 FENGONE
 Non sono eterne al cor d’un re, mio bene,
470d’imeneo le catene.
 
    Meglio intendi un dolce affetto
 e saprai che non ti offende.
 
    Non è oltraggio ma rispetto
 quel desio che in me si accende.
 
 SCENA XIX
 
 VEREMONDA
 
 VEREMONDA
475A tante mie sciagure
 si aggiungerà l’indegno amor d’un empio?
 Ma si aggiunga. Del fato
 vinsi tutto il furor. Vincasi ancora
 tutto il poter di così rea baldanza
480ed abbia più trofei la mia costanza.
 
    Quanto più gode
 tra voi contenta,
 o selve amene,
 la pastorella.
 
485   Qui forza o frode
 non la spaventa;
 e col suo bene
 d’amor favella.
 
 Fine dell’atto primo