Eumene, Venezia, Pasquali, 1744

 AL LETTORE
 
    Il gran carattere che abbiamo della persona di Eumene, presso a Plutarco ed a Cornelio Nepote, ha reso questo gran capitano troppo celebre ai posteri, per non riguardarlo senza ammirazione e per non riceverne la memoria che con rispetto. Egli è stato uno de’ successori del grande Alessandro e fra tutti loro così stimato che, lui vivo, non osarono assumersi il titolo regio, benché ne avessero l’ambizione. Peccò solo ma in due virtù, per eccesso, in una per troppa bontà, nell’altra per troppa fede. Ebbe più volte chi gli ordì tradimenti, perché fu conosciuto sì facile a non credergli e a perdonargli. Così spesso la sua bontà lo fece cader ne’ pericoli e la sua fede gli diede alfine la morte. Nella division che si fece dell’universal monarchia, toccò a lui la Panfilia e la Cappadocia; ma il possesso di questa fu forza che gli assicurassero l’armi, perché allora, al riferir dello storico, ella era in poter de’ nimici.
    Se Laodicea lo lascia uscir di prigione su l’impegno che le fa la sua fede di ritornarvi, quando non gli riesca di rimandarle Artemisia, ne ha il fondamento dalla virtù e dalla gloria di Eumene che potea bene perder la vita ma non mancarle di fede. L’esempio d’un nimico di tal conseguenza, rilasciato su la parola, non parerà così strano a chi ha lette le storie di Attilio Regolo, di Ottone, figliuolo dell’imperator Federico I, e di Luigi IX il Santo, re della Francia, che tutti e tre sulla loro fede ebbero la libertà, il primo dai Cartaginesi, il secondo dai Veneti e il terzo dai Saraceni.
    L’odio che ad Eumene porta Leonato, principe macedone e congiunto di parentela, per testimonio di Quinto Curzio, col re Alessandro, è appoggiato all’autorità de’ sopracitati scrittori; e mancò poco, dice il Nepote, che non gli riuscisse di ucciderlo, quando non fosse sortito ad Eumene sottrarsi al funesto colpo con un ritiro opportuno. Io gli do fomento con la passione amorosa, riuscendogli Eumene sempre più odioso, o come nimico nel regno o come rivale nel core di Laodicea.
    Antigene è del partito di Eumene ma non meno del Macedone a lui nimico. Egli fu un capo degli argiraspidi, soldati già scelti alla custodia del re Alessandro. Da lui fu più volte tradito Eumene e finalmente consegnato in mano al re Antigono, da’ cui soldati ebbe infelicemente la morte. Così nel dramma lo mette il traditore in potere di Laodicea, stimolandolo, alla viltà dell’insidie, l’amor ch’egli porta alla regina Artemisia. È ben vero che il generoso perdono d’Eumene fa ravvedere Antigene del tradimento e lo fa operare con più d’innocenza. Ma se ben rifletti al carattere che di lui ne danno gli storici, comprenderai facilmente quella incostanza nelle sue azioni e conoscerai che, come la sua virtù non era durevole, così la sua malizia non fu natura. L’ultime sue parole nel dramma conservano le agitazioni di quell’anima irresoluta e ci rappresentano tutte le sue inclinazioni.
    Questo è quanto mi è parso bene avvisarti. S’Eumene ti sembrerà grande nell’immagine che ti rappresento, è sua gloria, se difettoso, mia debolezza. Son certo almeno di meritar qualche cosa presso alla tua gratitudine, con averti scelto un soggetto degno della tua attenzione.