Eumene, Venezia, Albrizzi, 1697

 SCENA XVII
 
 LAODICEA, ANTIGENE e li suddetti
 
 LAODICEA
1405(Alfin voi mi tradiste, o fati infidi).
 ANTIGENE
 Ecco, Eumene, Artemisia,
 coppia illustre d’amor, nulla a la vostra
 felicità più manca. Io ne son forse
 non ultima cagion. Lecito sia
1410dirvi: «È vostro il trionfo e l’opra è mia».
 EUMENE
 E a te...
 ANTIGENE
                 Sì, duce. Entro a Sebastia fui
 co’ miei guerrieri a pena
 che mio primo pensiero
 fu la tua libertà, la tua salvezza.
 LAODICEA
1415Qual mi tradì?
 ANTIGENE
                              Col suo furor, Leonato
 mi agevolò l’impresa; e alor che vidi
 dal geloso amator poste in tumulto
 le nemiche difese,
 corsi a le porte e le occupai. Peuceste,
1420conscio già de’ miei fini,
 v’accorse a tempo e la città fu presa,
 Laodicea prigioniera e voi felici.
 Così fu in un sol giorno a me concesso
 ingannare Artemisia,
1425Eumene, Laodicea ma più me stesso.
 EUMENE
 Dolce amico, perdona...
 ANTIGENE
 Ferma. Il nome di amico e ’l sacro amplesso
 non profanar.
 EUMENE
                            Perché mel nieghi?
 ANTIGENE
                                                                 È tempo
 che in Antigene apprenda
1430Artemisia un amante.
 ARTEMISIA
 Come?
 ANTIGENE
                 Eumene un rival.
 EUMENE
                                                   Che?
 ANTIGENE
                                                               Sì, quel volto,
 che piacque a te, me pur accese. Amore
 mi fece reo, la tua bontà innocente.
 Per goder ti tradii;
1435per penar ti salvai. Nel tradimento
 mi sognava diletti;
 or l’emenda del fallo è mio tormento.
 ARTEMISIA
 E osasti?...
 ANTIGENE
                       Addio. Per non mirarvi io parto.
 Ancor potrian quegli occhi
1440turbar la mia ragion. Già ’l cuor mel dice.
 Addio, convien che sia,
 per non esser più reo, sempre infelice,
 che chi può d’un rivale
 la fortuna mirar senza livore,
1445se molto ha di virtù, poco ha d’amore.
 
    Da te parto, bel volto sereno
 che involi al mio seno
 costanza e virtù.
 
    D’altrui non vo’ mirarti
1450e mio non spero più.