Artaserse (Zeno e Pariati), Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA PRIMA
 
 ARTASERSE e AGAMIRA
 
 ARTASERSE
 (Tanto dimora Arsace?)
 AGAMIRA
                                              A te, mio sire,
595concedi ancor...
 ARTASERSE
                               Che? Non partisti, o donna?
 AGAMIRA
 Non s’adempie sì tosto un duro impero.
 ARTASERSE
 Né temi un re disubbidito e offeso?
 AGAMIRA
 Che mi resta a temer dopo l’acerba
 perdita del tuo amore, idolo mio?
 ARTASERSE
600Vane lusinghe. Impura donna, addio. (In atto di partire)
 AGAMIRA
 Signor, tu mi rinfacci un tuo delitto.
 Innocente sarei
 se a te meno piacean questi occhi miei.
 ARTASERSE
 Non più...
 AGAMIRA
                      Lo so, mio re. Non più questi occhi
605hanno il loro poter. Spento è il tuo foco.
 Siasi. Lo soffro in pace. Ah, solo almeno
 dell’amor mio non oltraggiar la fede.
 ARTASERSE
 Parlisi a core aperto. Odi, Agamira.
 Che tu m’ami, nol so. Solito vanto
610è di donna che inganna il giurar fede.
 Pur, s’è vero, un monarca
 assai paga l’amor con ringraziarlo.
 Che sia spento il mio ardor, qual colpa è questa?
 Amor non è un dovere.
615Se solo in libertà per genio si ama,
 con ugual libertà pur si disama.
 AGAMIRA
 (Odi ’l perfido!) Tormi,
 tormi dunque ti basti
 gli affetti tuoi. Lasciami ’l ciel natio.
 ARTASERSE
620No no, parti e ubbidisci.
 AGAMIRA
 Per ultimo conforto almen ti chiedo...
 ARTASERSE
 Che mai?
 AGAMIRA
                     Sol questo giorno al mio partire.
 ARTASERSE
 Concedasi; ma avverti
 con più lungo soggiorno...
 AGAMIRA
625Rispetto il cenno. (Ho vinto.
 È spazio ancor di gran vendetta un giorno).
 ARTASERSE
 
    A mio piacer io voglio
 amar e disamar.
 
    È libertà del core,
630è autorità del soglio
 prometter fé in amore
 e poi non l’osservar.