Aminta, Firenze, Moucke, 1736 (controscene)

 SCENA [XXIII]
 
 ALCEA sola
 
 ALCEA
 Affé che la mi cuoce,
 quel Silvio me l’ha fatta.
375Andai per discoprirgli il mio gran fuoco,
 acciocch’egli pietoso
 mi porgesse rinfresco;
 ei guardommi in cagnesco,
 si messe in posto, quasi fosse un re,
380e poi con gravità,
 con fasto e maestà,
 tutta ben mi guardò da capo a piè;
 quindi mi disse: «Andate,
 andate che vedremo
385e ne’ vostri bisogni a cuor v’avremo».
 Madonna Alcea, ch’è il perno
 delle ninfe leggiadre
 e ch’ebbe un tempo fa gli amanti a squadre,
 da un pastorel villano,
390da un sudicio guardiano
 strapazzata così?
 Un affronto sì grande ove s’udì?
 
    Ho nel cuore una fornace
 larga, aperta, spalancata.
 
395   Sputa fuoco, ira e rancor,
 getta vampe di furor;
 né potrà mai tregua o pace
 spegner fiamma sì arrabbiata.