Aminta, Firenze, Vangelisti, 1703

 SCENA PRIMA
 
 Giardino.
 
 EURIDICE e DIONISIO
 
 DIONISIO
 Addio regina, addio, da questi lidi
 ove l’ira del mar me dietro all’orma
 della rapita Elisa,
 della cara germana avea già spinto,
5l’odio tuo mi respinge.
 Siracusa mi attende; io parto e ’l core
 meco non vien; teco riman su queste
 spiagge fatali a sospirar d’amore.
 EURIDICE
 La Tessaglia ov’io regno,
10principe generoso, in ogni tempo
 d’ospite sì sublime
 si pregerà; se agli occhi tuoi già piacque
 questa, di un lungo duol misero avanzo,
 sfortunata beltà, se non t’amai
15come il tuo cor forse chiedea, ne incolpa,
 più ch’Euridice, il fato. Amar non lice
 fuor che ’l suo sposo a una real consorte,
 benché tradita sia, benché infelice.
 DIONISIO
 Io partirò, soffri che ’l dica ancora;
20ma né lunga stagion né vario clima
 potrà stancar la mia costanza; ognora
 ti amerò qual ti amai.
 Sì, partirò (ma senza te giammai).
 EURIDICE
 Vanne e un amor ti scorda
25che a te non giova e ch’io non cerco.
 DIONISIO
                                                                   E questo,
 questo è ’l tuo sol comando
 cui d’obbedir mi è tolto.
 Euridice mi vieta
 che t’ami il labro e vuol che t’ami il volto.
 EURIDICE
30Dionisio...
 DIONISIO
                      Già leggo
 ne’ tuoi lumi il tuo sdegno. Io parto; ammorzi
 sol quest’addio l’ire già accese e almeno
 concedi al dolor mio
 un sol sospiro; egli è l’estremo addio.
 
35   Sovvengavi talvolta,
 pupille, che v’adoro.
 
    Chi sa che non abbiate
 pietà, benché spietate,
 pensando al mio martoro.