Venceslao, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA V
 
 LUCINDA con seguito, in abito d’uomo, e i detti
 
 LUCINDA
 Lucinda, in quella reggia
 vive il tuo sposo, invano atteso tanto
 e sempre amato e pianto.
115Qual di sì lungo indugio
 scusa addurrà? Mio caro,
 purché altro amor non t’abbia avvinto, io sono
 paga di tue discolpe e ti perdono.
 CASIMIRO
 Purtroppo, amico, è dessa. (In disparte a Gismondo)
 LUCINDA
                                                    In quale oggetto
120vi affissate, o miei lumi?
 GISMONDO
 Già ne osservò. (In disparte a Casimiro)
 CASIMIRO
                                Finger mi giovi. (A parte)
 LUCINDA
                                                                O numi!
 CASIMIRO
 Stranier, che tale a queste spoglie, a questi
 tuoi compagni o custodi a me rassembri,
 e qual da miglior clima all’Orse algenti
125forte cagion ti trasse?
 LUCINDA
 (Non mi ravvisa). A mia gran sorte ascrivo
 che dal ciel lituano
 qui giunto appena, ove drizzai la meta,
 te incontri, eccelso prence.
 CASIMIRO
                                                   A te, che altrove
130giammai non vidi, ove fui noto? E quando?
 LUCINDA
 In Lituania, ov’ebbi
 l’alto onor d’inchinarti.
 (Ah! Quasi dissi il fier destin d’amarti).
 CASIMIRO
 Qual ti appelli?
 LUCINDA
                               Lucindo.
 CASIMIRO
135L’uffizio tuo?
 LUCINDA
                            Di segretario in grado
 a Lucinda io servia.
 CASIMIRO
 Lucinda?
 LUCINDA
                     Sì, l’erede
 del lituano regno.
 CASIMIRO
 Tu con Lucinda?
 GISMONDO
                                 (Oh, com’è scaltro!)
 LUCINDA
                                                                       Io seco
140era il giorno primier che i lumi tuoi
 s’incontraro co’ suoi,
 giorno (ah, giorno fatal!) che in voi si accese
 scambievol fiamma. Io seco
 allor che le giurasti eterno amore
145e sol fui testimon del suo rossore.
 (Fiso mi osserva!) Omai
 ti dovria sovvenir che in bianco foglio
 la marital tua fede,
 me presente, giurasti; e me presente,
150si strinse il sacro nodo,
 si diede il casto amplesso.
 Ti dovria sovvenir ch’entro sei lune
 tornare a lei giurasti;
 pur due volte d’allora
155compié l’anno il suo corso e non tornasti.
 (Misera!) E non ancora
 ti sovvien quale io sia,
 io che fui testimon delle sue pene?
 De’ giuramenti tuoi?
 CASIMIRO
                                         Non mi sovviene.
 LUCINDA
160O disleale! Ingrato!...
 CASIMIRO
                                         A cui favelli?
 LUCINDA
 Così m’impose il dirti
 la tua fedel Lucinda: «E se» mi aggiunse
 «e se nulla ottener puoi da quel core,
 fa’ ch’io il sappia, onde fine
165abbia con la mia vita il mio dolore».
 GISMONDO
 (A lagrimar mi astringe).
 CASIMIRO
 Fole mi narri.
 LUCINDA
                             (O son tradita o finge).
 CASIMIRO
 Ma dovunque tu vada, onde tu venga
 e qualunque sii tu,
170parti, o Lucindo, e non cercar di più.
 
    Ti consiglio a far ritorno.
 Parti. Va’;
 né cercar più di così.
 
    Lungo soggiorno
175ti sarà solo
 di pianto e duolo
 cagione un dì.