Venceslao, Genova, Franchelli, 1717 (Il Venceslao)

 SCENA V
 
 LUCINDA da uomo con seguito e detti
 
 LUCINDA
 
    Quest’aura, che respira
 chi tanto il core adora,
 m’alletta e mi ristora
120e fa contento il cor.
 
 CASIMIRO
 (Purtroppo è dessa, o amico).
 LUCINDA
                                                        In quale oggetto
 vi affissate, o miei lumi?
 GISMONDO
 (Già ci osservò).
 CASIMIRO
                                 (Finger mi giovi).
 LUCINDA
                                                                    (O numi!)
 CASIMIRO
 Stranier, che tale a queste spoglie, a questi
125tuoi compagni o custodi a me rassembri,
 e qual da miglior cielo a l’Orse algenti
 forte cagion ti trasse?
 LUCINDA
 (Non mi ravvisa). A mia gran sorte ascrivo
 che dal ciel lituano
130qui giunto appena, ove portato ho il piede,
 te incontri, o eccelso prence.
 CASIMIRO
                                                      A te, che altrove
 giammai non viddi, ove fui noto e quando?
 LUCINDA
 In Lituania, ov’ebbi
 l’alto onor di inchinarti.
135(Ah quasi dissi il fier destin d’amarti).
 CASIMIRO
 Qual ti appelli?
 LUCINDA
                               Lucindo.
 CASIMIRO
 L’ufficio tuo?
 LUCINDA
                            Di segretario in grado
 a Lucinda servia.
 CASIMIRO
 Lucinda?
 LUCINDA
                     Sì, l’erede
140del lituano regno.
 CASIMIRO
 Tu con Lucinda?
 GISMONDO
                                 (O come è scaltra!)
 LUCINDA
                                                                      Io seco
 era il giorno primier che i lumi tuoi
 s’incontraro coi suoi.
 Giorno (ah giorno fatal!) che in voi s’accese
145scambievol fiamma; io seco
 allor che le giurasti eterno amore
 e sol fui testimon del suo rossore.
 (Fisso m’osserva). Omai
 ti dovria sovvenir che in bianco foglio
150la marital tua fede,
 me presente, segnasti e me presente
 si strinse il sacro nodo.
 Ti dovria sovvenir ch’entro a sei lune
 tornare a lei giurasti;
155pur due volte d’allora
 compì l’anno il suo corso e non tornasti.
 (Misera!) E non ancora
 ti sovvien qual io sia,
 io che fui testimon de le sue pene,
160de’ giuramenti tuoi?
 CASIMIRO
                                         Non mi sovviene.
 LUCINDA
 Non ti sovviene, ingrato...
 CASIMIRO
                                                 A chi favelli?
 LUCINDA
 Così m’impose il dirti
 la tua fedel Lucinda: «E se» mi aggiunse
 «e se nulla ottener puoi da quel cuore,
165fa’ ch’io ’l sappia, onde fine
 abbia con la mia vita il mio dolore».
 GISMONDO
 (A lagrimar m’astringe).
 CASIMIRO
 Fole mi narri.
 LUCINDA
                             (O son tradita o finge).
 CASIMIRO
 Ma dovunque tu venga
170e qualunque sii tu,
 parti, Lucindo, e non cercar di più.
 
    Lascia la calma al sen
 e all’alma il suo seren,
 del cor la bella pace
175così m’alletta e piace
 che mai turbar non vuo’.
 
    Partiti pur da me,
 volgi a Lucinda il piè
 e di’ che in questo petto
180per lei non ebbi affetto
 e amor per lei non ho.