Venceslao, Roma, Bernabò, 1716 (Il Vincislao)

 SCENA V
 
 CASIMIRO e LUCINDA
 
 LUCINDA
1320Oggi morrai? Dirlo ha potuto un padre?
 Lucinda udirlo? Oggi morrai? Spietato
 giudice, iniquo re. Così mi serbi
 la fé per più tradirmi?
 Mi dai lo sposo e mel ritogli? O tutto
1325ripigliati il tuo dono o tutto il rendi;
 se mi sei più crudel, meno mi offendi.
 E tu che fai? Che non ti scuoti?
 CASIMIRO
                                                           Oh dio!
 Lucinda, anima mia,
 che far? Che dir poss’io,
1330misera sposa! giunta
 a vederti tradire,
 a vedermi morire.
 LUCINDA
 Morir? Me forsi credi
 sì vil, sì poco amante
1335che sofferir il possa?
 Meco ho guerrieri, ho meco ardire, ho meco
 amor, forza e ragione.
 CASIMIRO
 Un soccorso rifiuto
 ch’esser può mio delitto e tuo periglio.
1340Il re mi è padre, io son vassallo e figlio.
 LUCINDA
 Crudel, sei sposo ancora;
 serbi il nome di figlio a chi t’uccide,
 nieghi il nome di sposo a chi t’adora.
 CASIMIRO
 Anzi questo è ’l sol nome
1345che più m’è caro; io meco
 porterollo agl’Elisi, ombra costante,
 e là dirò: «Son di Lucinda amante».
 LUCINDA
 Va’ pur; ti è cara, il veggio,
 la morte tua, vanne, l’incontra; all’empio
1350carnefice fa’ core e ’l colpo affretta;
 ma sappi, io pur morrò
 dal ferro uccisa o dal dolor.
 CASIMIRO
                                                   Tu piangi?
 Tergi le luci, addio mio ben.
 LUCINDA
                                                      Tu parti?
 CASIMIRO
 Più soffrir non poss’io
1355la pietà di quel pianto; andrò men forte,
 se più ti miro, andrò, mia cara, a morte.
 
    A morir vado costante,
 idol mio, lungi da te;
 
    la fortezza il core amante
1360avrà eguale alla mia fé.