Venceslao, Napoli, Muzio, 1714 (Vincislao)

 SCENA V
 
 LUCINDA da uomo e GERILDA anche da uomo con seguito e detti in disparte
 
 LUCINDA
 
    Quest’aura, che respira
 chi tanto il core adora,
 m’alletta, mi ristora
 e fa contento il cor...
 
 GERILDA
135Mia signora?
 LUCINDA
                           Che chiedi?
 GERILDA
                                                   Osserva là.
 CASIMIRO
 (Purtroppo, Gildo, è dessa).
 GILDO
 (Questa è la principessa
 e quell’altra è la serva in verità).
 LUCINDA
 (In qual bramato oggetto
140vi affissate, o miei lumi?)
 GERILDA
 (Il mio Gildo v’è ancora).
 CASIMIRO
 (Finger mi giovi).
 GERILDA
                                    (A te sen viene).
 LUCINDA
                                                                    (Oh numi!)
 CASIMIRO
 Stranier, che tale a queste spoglie, a questi
 tuoi compagni o custodi a me rassembri,
145e qual da miglior cielo a l’Orse algenti
 forte caggion ti trasse?
 LUCINDA
 (Non mi ravvisa). A mia gran sorte ascrivo
 che dal ciel lituano
 qui giunto appena, ove portato ho il piede,
150te incontri, eccelso prence.
 CASIMIRO
                                                   A te, che altrove
 giammai non vidi, ove fui noto e quando?
 LUCINDA
 In Lituania, ov’ebbi
 l’alto onor d’inchinarti.
 (Ah! Quasi dissi il fier destin d’amarti).
 GERILDA
155Gildo? (Da parte tra loro)
 GILDO
                 Chi sei? Che chiedi?
 GERILDA
 Sono anch’io forastiero
 ma t’ho altrove parlato
 e gran cose t’ho a dir.
 GILDO
                                          Resto obligato.
 CASIMIRO
 Qual ti appelli?
 LUCINDA
                               Lucindo.
 CASIMIRO
160L’uffizio tuo?
 LUCINDA
                            Di segretario in grado
 a Lucinda servia.
 CASIMIRO
 Lucinda?
 LUCINDA
                     Sì, l’erede
 del lituano regno.
 GILDO
 Non la conosco in verità. (Come sopra)
 GERILDA
                                                (Che indegno!)
 CASIMIRO
165Tu con Lucinda?
 LUCINDA
                                 Io seco
 era il giorno primier che i lumi tuoi
 s’incontraro co’ suoi,
 giorno (ahi giorno fatal!) che in voi s’accese
 scambievol fiamma; io seco
170alor che le giurasti eterno amore
 e alor che tu partisti,
 io sol fui testimon del suo dolore.
 (Fiso m’osserva). Omai
 ti dovria sovvenir ch’entro a sei lune
175tornare a lei giurasti;
 pur due volte d’allora
 compì l’anno il suo corso e non tornasti.
 (Misera!) E non ancora
 ti sovvien qual io sia,
180io che fui testimon de le sue pene,
 de’ giuramenti tuoi?
 CASIMIRO
                                         Non mi sovviene.
 GERILDA
 Ed ancor fai del sordo. (Come sopra)
 Pur ti voleva ben!
 GILDO
                                   Non mi ricordo.
 LUCINDA
 Non ti sovviene? Ingrato...
 CASIMIRO
                                                   A chi favelli?
 LUCINDA
185A te. A te. Così m’impose il dirti
 la tua fedel Lucinda: «E se» mi aggiunse
 «e se nulla ottener puoi da quel core,
 fa’ ch’io ’l sappia, ond’io possa
 estinguer nel mio sangue il mio dolore».
 CASIMIRO
190Fole mi narri.
 GERILDA
                             E del suo rio tormento (Come sopra)
 più memoria non hai?
 GILDO
                                            Non mi rammento.
 LUCINDA
 (O dal crudele io son tradita o finge).
 CASIMIRO
 Ma dovunque tu venga
 e qualunque sii tu,
195parti, o Lucindo, e non cercar di più.
 
    Lascia la calma a l’alma
 che sta godendo ognor
 e non turbare il cor
 con altro amore.
 
200   Partiti pur da me,
 che tanto è ’l mio gran foco
 che loco più non v’è
 per altro ardore.