Venceslao, Palermo, Cichè, 1708

 SCENA XIII
 
 Notte. Stanza di Casimiro con tavolino.
 
 GILDO, poi VENCESLAO
 
 GILDO
785Qual timore importuno,
 con larve di martiri,
 mi rende in seno palpitante il core.
 E con fiero dolore,
 togliendomi dal sen l’amica calma,
790spasimi d’agonie dispensa a l’alma.
 Più che avanza la notte,
 più temo che il padrone,
 che tutto furioso,
 torbido e minaccioso,
795da me partì, non facci la frittata,
 onde in questo periglio...
 VENCESLAO
 Gildo, dov’è il mio figlio?
 GILDO
                                                 Io qui l’attendo.
 VENCESLAO
 O dio! L’alma presaga
 m’è di sventure e per Ernando io temo.
 GILDO
800Ancor non viene?
 VENCESLAO
                                   Gildo,
 chiamisi tosto il duce Ernando.
 GILDO
                                                           Al cenno
 affretto il piè veloce.
 (Temo anch’io l’ire d’un amor feroce).