Gl’inganni felici, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA XVII
 
 ALCESTE ed AGARISTA
 
 ALCESTE
 A te di fausti avvisi
420nunzio m’inchino. Il tuo Armidor poc’anzi:
 «Caro Alceste» mi disse
 «ardo per Agarista e sì l’adoro
 che se tu non m’aiti, Alceste, io moro».
 AGARISTA
 Tant’osò, tanto disse?
 ALCESTE
                                          E il disse appena
425che in deliquio di amor mi svenne in braccio.
 AGARISTA
 E il lasciasti così? Temo ed agghiaccio.
 ALCESTE
 Così stette gran tempo; infine al volto
 mi alzò l’egre pupille,
 in atto sì dolente
430che avria mosse a pietà le belve istesse.
 AGARISTA
 Non più, che svengo anch’io.
 ALCESTE
 Ed immoto pendea dal labbro mio.
 AGARISTA
 Che gli dicesti?
 ALCESTE
                               Io tosto
 lo sgridai che tropp’alto alzasse il volo.
 AGARISTA
435Che rispose?
 ALCESTE
                           «Chi mai
 può veder senz’amor volto sì vago?»
 AGARISTA
 E tu?
 ALCESTE
              «Viltà e timor dovean frenarti».
 AGARISTA
 Ed ei?
 ALCESTE
                «Cara beltà, voglio adorarti».
 AGARISTA
 Alfin?
 ALCESTE
               Mi disse: «Se mi neghi aita,
440sei scortese e crudel. Forse non sono
 così vil qual ti sembro»; e poi partissi.
 AGARISTA
 Altro non ti soggiunse?
 ALCESTE
                                             Il tutto io dissi.
 AGARISTA
 S’ei fosse qual vorrei,
 fortunata sarei.
 ALCESTE
                               Chi sa? Sovente
445fa stravaganze amore.
 AGARISTA
 Ciò ch’è oggetto al desio tema è del core.
 
    O va’, spietato amore,
 o lasciami sperar.
 
    Tu che dai piaghe al core,
450tu le dovrai sanar.
 
 ALCESTE
 
    Amor, delle tue pene
 non mi saprò lagnar,
 
    purché si cangi in bene
 la gloria del penar.
 
 Il fine dell’atto primo