Lucio Vero, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA II
 
 ANICETO, poi VOLOGESO, l’uno e l’altro con seguito di ministri, e i suddetti assisi a mensa
 
 ANICETO
 
    Geni augusti, eccelsi eroi,
15qui gareggia ogni elemento,
 più superbo e più contento
 nell’offrirvi i doni suoi.
 
 VOLOGESO
 Io di piacer ministro,
 in questi di Lieo colmi cristalli
20dolce ardor, dolce foco a voi presento.
 BERENICE
 (Che mirate, occhi miei?)
 LUCIO VERO
                                                  Tu, dal cui labbro
 sì dolci escon gli accenti,
 ora in musiche note
 canta l’altrui beltà, canta il mio ardore.
 BERENICE
25(Sa ch’è un inganno e pur ne gode il core).
 VOLOGESO
 
    Amare una beltà,
 che mostri crudeltà,
 è quel soave amor
 che più goder ci fa.
 
30   Non ha piacer che alletti
 beltà senza rigor;
 e fa languir gli affetti
 la facile pietà.
 
 LUCIO VERO
 Regina, a ber t’invito; e tu mi porgi
35pien di greca vendemmia il nappo aurato.
 ANICETO
 Pronto ubbidisco.
 VOLOGESO
                                   (Amor m’assista e il fato). (Aniceto prende il bicchiere da Vologeso e lo presenta a Lucio Vero)
 LUCIO VERO
 Sia del primo bicchiere
 tua la gloria. Un augusto
 ti serve di coppier. Bevi, o regina.
 BERENICE
40Troppo è l’onor; né a me tua schiava or lice
 ricusarlo, o signor.
 VOLOGESO
                                     No, Berenice. (Vologeso prende furioso il bicchiere di mano a Berenice e lo gitta a terra. Lucio Vero si leva dalla mensa e si avanza verso di Vologeso)
 LUCIO VERO
 Tanto ardir?
 VOLOGESO
                          L’altrui morte (A Berenice)
 tu accostavi al tuo labbro;
 e i doni d’un nemico
45più dovevi temer. Cesare, è tosco
 quel cui beve la terra;
 e sua pena divien ciò che da un mostro
 liberarla dovea. T’assolve il caso
 dall’odio mio. Perdei la mia vendetta.
50La tua comincia. Invitto
 l’attenderò. N’è degna
 più la sventura mia che il mio delitto.
 BERENICE
 (Egli è desso, cor mio).
 LUCIO VERO
 O tu, che al par dell’opre
55temerarie hai le voci e grido al nome
 dall’ire mie, dalle tue colpe attendi,
 dimmi; quando ti offesi?
 Qual sei? Che cerchi? Ove ti spinge un cieco
 impeto di furor, genio di morte?
60Uom, non so ancor se disperato o forte.
 VOLOGESO
 Parto son io. Ristretti
 ecco in breve i miei torti.
 Per istinto e per legge
 a te, a Roma nemico, altro di grande
65non ho che l’odio mio; toglimi questo,
 son nome ignoto, ombra insepolta i’ vivo.
 Del mio re Vologeso
 meditai le vendette. A lui togliesti
 scettro, popoli e vita;
70né ti bastò. Nella sua sposa, in quella
 ch’è sua dolce metà, più fiero insulti
 alle ceneri sue. Temi i tuoi numi;
 temi l’ombra real; temi il mio esempio.
 Non mancan mai pene e nemici a un empio.
 ANICETO
75Troppo audace favelli. (Snudando un ferro, va per ucciderlo)
 Da questo acciar...
 LUCIO VERO
                                    Ferma, Aniceto.
 BERENICE
                                                                   O dio!
 LUCIO VERO
 In carcer cieco, a più maturo esame
 si custodisca. Muore
 col reo tutta la colpa
80ma non tutta è punita. Uom vil non puote
 solo, schiavo ed inerme osar cotanto.
 VOLOGESO
 Tutta mia sia la pena,
 che ancor del colpo era mio solo il vanto.