Lucio Vero, Venezia, Niccolini, 1700

 SCENA VIII
 
 LUCIO VERO con seguito esce dalla città; e li suddetti
 
 LUCIO VERO
 Qual destin, principessa,
145ti allontana dal Tebro? A che de’ venti
 t’espone a l’ire il genitor sovrano?
 LUCILLA
 Compie oggi l’anno appunto,
 signor, de’ tuoi trionfi. A che sì lungo
 fai che a quest’ermo lido
150Roma invidi il suo eroe? Là fosti atteso
 dal Senato e dal padre,
 non dirò dal mio cor. Teco egli venne.
 Pugnò coll’armi tue, coi voti suoi,
 testimonio fedel che la tua destra
155emulava il poter degli occhi tuoi.
 LUCIO VERO
 Vinsi, è vero; ma ’l vinto
 era ancora a temersi. Il mio soggiorno
 ozio sembra a’ Romani;
 ed a’ Parti è terror. La man che i vinse
160gli spaventa vicina; e l’Asia doma
 la pace impara anco a temer di Roma.
 CLAUDIO
 Di tua lunga dimora
 qualunque sia l’alta cagion, tu quella
 del venir nostro attendi e tu d’Aurelio,
165ch’è tuo cesare e mio, le leggi ascolta.
 Suo nunzio e suo ministro
 a te vengo, o signor. Sua figlia è questa,
 la cui man ti fa cesare e t’innalza
 al governo del mondo.
170Fu la partica guerra
 che ne interruppe il nodo. Ella è compiuta.
 De’ felici sponsali
 maturo è ’l tempo. Oltre del sol novello
 più non lice tardar. Cesare, Lucio,
175qual d’ambo i nomi a te più aggrada eleggi.
 O suddito o monarca,
 o rendi il lauro o serba il patto e reggi.
 LUCIO VERO
 Spesso un zelo indiscreto
 è colpa in chi è vassallo. E tempo e luogo
180scieglier dovevi e favellar più cauto.
 Pur tutto, Claudio, al grado
 di chi t’invia messaggio,
 tutto a l’amor di chi vien teco or dono;
 ma sappi che tuo cesare anch’io sono.
185(Finger mi giovi). A te, mia sposa augusta,
 ben fia nel nuovo giorno
 meglio noto il mio cuor. Tu vieni intanto
 de’ miei trionfi ad ammirar la gloria.
 LUCILLA
 Seguo, augusto, i tuoi passi,
190tua spettatrice insieme e tua vittoria.
 LUCIO VERO
 
    Vieni, o bella, col tuo volto
 le mie glorie ad illustrar.
 
    Là ogni sguardo in te rivolto
 lo splendor de’ miei trionfi
195lascierà di vagheggiar.
 
 LUCILLA
 
    Vengo, o caro, e nel tuo ciglio
 mirerò chi m’arde il cor.
 
    Vaga son del mio periglio;
 ma gran lume è di tua gloria
200la chiarezza del mio ardor.