Faramondo, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA II
 
 CHILDERICO esce da una porta difendendosi da’ soldati di Faramondo; poi dall’altra vien FARAMONDO con seguito e ROSIMONDA in disparte
 
 CHILDERICO
                               Sinché abbia spirto e vita,
 del mio sen farò scudo a Rosimonda.
 ROSIMONDA
 (Che fia?)
 FARAMONDO
                      Tanto nell’ira? Olà! soldati,
 gettinsi l’armi. E tu, guerrier, se a sdegno
 per man di un tuo nimico
30non hai la vita, ei te la lascia in dono.
 Un re ti salva e Faramondo io sono.
 ROSIMONDA
 (Che udii!)
 CHILDERICO
                        Gran re de’ Franchi...
 ROSIMONDA
                                                                 A me quel ferro, (Avanzandosi)
 che del sangue real sol reso ingordo
 il vassallo rifiuta,
35barbaro Faramondo, a me rivolgi!
 Vive ancora in quest’alma
 una parte di Sveno; in Rosimonda
 ciò che resta trafiggi!
 FARAMONDO
 Tu Rosimonda?
 CHILDERICO
                                (Impallidisce).
 ROSIMONDA
                                                              E quando,
40in che, dimmi, ti offesi?
 Quando mossero i Cimbri
 guerra a’ tuoi regni? E quando,
 nelle vene de’ Franchi,
 andarsi a dissetar l’aste boeme?
45Dillo, spietato! Alma alle stragi avvezza
 della sua crudeltà non ha rossore.
 FARAMONDO
 (A fronte di quegli occhi io perdo il core).
 ROSIMONDA
 Parla; che dir potrai? Che ti ha costretto
 di Rosimonda e di Gustavo a’ danni
50l’amistà di Gernando?
 Su, compisci i suoi voti,
 compisci i tuoi! Fa’ pur ch’io cada esangue.
 Servi all’empio Gernando;
 non puoi dargli il mio cor; dagli il mio sangue.
 FARAMONDO
55Principessa, son reo; ma reo pentito.
 Non è l’averti offesa,
 non è fallo cui debba
 cercar discolpa; e se l’avessi ancora,
 la tacerei, per non lasciarti ingiusta.
60O potesse il mio sangue
 risarcire i tuoi danni!
 Pur se non posso i mali,
 soddisferò la tua vendetta almeno;
 e placherò, morendo,
65forse con l’odio tuo l’ombra di Sveno.
 CHILDERICO
 (Desta pietà).
 ROSIMONDA
                             Sì, la tua morte io chiedo;
 ma la chiedo al mio cor, non al tuo braccio.
 Va’, misero, e l’attendi
 dall’odio mio! Quel volto
70senza pena mirar più non mi lice.
 Va’ né turbar più almeno
 quel riposo che resta a un’infelice.
 
    Più crudel negli occhi tuoi
 mi si rende il mio dolor.
 
75   Sento già che il fier tiranno
 tu sarai del mio riposo;
 e in mirarti un novo affanno
 turba i sensi e passa al cor.