Odoardo, Venezia, Albrizzi, 1698

 SCENA XII
 
 METILDE, poi ADOLFO
 
 METILDE
705Qual subito, qual strano
 cangiamento è cotesto?
 Odoardo infedel? Mesta Gismonda?
 Che creder deggio? E che pensar? Metilde,
 cieca Metilde, e nol conosci ancora?
710Que’ muti sguardi, quel parlar secreto,
 quel pallor, que’ sospiri
 non ti scuopron l’amore? O dio! L’amore?
 ADOLFO
 Principessa, m’inchino. A te dal campo
 il re m’invia.
 METILDE
                           Che chiede?
715Pugnò? Vinse? Di’! Parla.
 ADOLFO
                                                 Eccoti il foglio. (Le dà una lettera)
 METILDE
 Parmi di novo affanno
 presago il cor. «Metilde». (Legge)
 Così mi scrive il regnator tiranno.
 «Vado a pugnar; creder mi giova i miei
720cenni esequiti e già Odoardo estinto.
 Sarò in Londra fra poco.
 Sposa e regina in guiderdon de l’opra
 ti acclamerò. Odoardo,
 se non è morto, mora.
725Così scrive Eduino,
 tuo amante, sì, ma tuo monarca ancora».
 Qui risolver è d’uopo.
 Seguimi, Adolfo.
 ADOLFO
                                  Eccomi pronto.
 METILDE
                                                                Andiamo;
 né si consumi inutilmente il breve
730momento che ci resta.
 Può la sola tardanza esser funesta.
 
    Risolviti, cuor mio,
 a uscir di servitù.
 Alfin non amar più,
735se non hai sorte.
 
    Sarai felice un dì,
 se spezzerai così
 le tue ritorte.