Il Narciso, Ansbach, Kretschmann, [1697]

 SCENA VIII
 
 URANIO e li sudetti
 
 TIRRENO
                                                        Or seco
 potrai cantar de la tua ninfa i pregi.
 URANIO
 Se non ne sdegni il paragon...
 LESBINO
                                                        Son pronto.
 TIRRENO
 Un mio baston di faggio,
615che già in dono mi diede il vecchio Aminta,
 fia degno premio al vincitor. Noi tutti
 i giudici sarem del canto vostro.
 URANIO
 Cantiam, tu d’Eco, io di Cidippe il volto.
 TIRRENO
 Lesbin principi, Uranio siegua; attento
620ognun taccia. Io già vi ascolto.
 LESBINO
 
    Occhi cari, adorati,
 vive del sol fiamelle,
 occhi non siete, no, ma siete stelle.
 
 URANIO
 
    Labra dolci e soavi,
625cune d’amor vezzose,
 labbra non siete, no, ma siete rose.
 
 LESBINO
 
    De l’aureo crine meno biondeggiano
 le spiche intatte.
 
 URANIO
 
    È assai men bianco del fronte candido
630il puro latte.
 
 LESBINO
 
    Ma con sì gran beltà
 come accordi, idol mio, tanta impietà?
 
 URANIO
 
    Con sì gentil sembianza
 come si unisce, oh dio, tanta incostanza?
 
 LESBINO
 
635   Vedrò prima al mio pianto i sassi piangere
 e sospirare ai miei sospiri i frassini
 che mai poss’io quel duro cuore infrangere.
 
 URANIO
 
    Vedrò prima su l’ali il vento immobile,
 le frondi non cader degli euri al sibilo
640che mai trovi costanza in cuor sì mobile.
 
 LESBINO
 
    Crudel, quanto tu vuoi
 sprezzami, usa rigor;
 amerò gli occhi tuoi,
 ti porterò nel cuor.
 
 URANIO
 
645   Infido e bel sembiante,
 schernisci la mia fé,
 ti adorerò costante
 e vivrò sol per te.
 
 TIRRENO
 Non più, cari, non più, di premio eguale
650degno è l’emulo canto. Ambi vinceste;
 mediterò per ambi egual mercede.
 Or la danza succeda,
 ninfe leggiadre, e qui compisca il giuoco.
 Ma d’amor pria si canti e l’arco e ’l fuoco.
 
 CORO
 
655   Dove non giunge amor,
 il fuoco tuo possente,
 il tuo fulmineo tel?
 
    Qual duro cuor nol sente,
 se ’l sentono l’inferno,
660la terra, il mare e il ciel?
 
 Siegue il ballo di paesani e paesane o vero di pastori e ninfe.
 
 Fine de l’atto terzo