Gianguir, Vienna, van Ghelen, 1724

 ATTO QUINTO
 
 Cortile del palazzo imperiale.
 
 SCENA PRIMA
 
 ZAMA e ASAF con la sciabla alla mano, da varie parti
 
 ASAF
 Vinto han gli avversi dii. Sconfitto è ’l campo.
 ZAMA
 Cieli! E ’l sultan?
 ASAF
                                  Prigione.
 ZAMA
 E tu in Agra?
 ASAF
                            Rapito
 da la turba fugace...
 ZAMA
                                       Ah! Tu dovevi
1205difenderlo o morire.
 ASAF
 Feci il dover...
 ZAMA
                             Si loda
 l’opra dal fin. Grado, favor, grandezza,
 Alinda, onor, tutto in Gianguir perdesti.
 Che fai di quell’acciar che in man sì terso
1210da la pugna riporti?
 Volgilo in te. Fa’ un degno colpo alfine;
 e tu, che non sapesti
 vincer, sappi morir.
 ASAF
                                       Torsi di vita
 è furore o viltà. Vivendo, posso
1215esser utile a tutti.
 Agra difenderò; né i mali miei
 m’hanno oppresso così...
 ZAMA
                                               Va’. Un vil tu sei.
 ASAF
 
    Vile a me? Ma non offende
 donna imbelle che non sa
1220qual sia ’l merto del valor.
 
    Che se osasse un reo coraggio
 rinfacciarmi di viltà,
 l’insolenza de l’oltraggio
 punirei dentro il suo cor.
 
 SCENA II
 
 ZAMA
 
 ZAMA
1225In ceppi è ’l mio signor, forse anch’estinto.
 O rei destini! O neghittosi dei
 che tanta iniquità... Ma il duol delira.
 Zama non si conosce e vuol vostr’ira.
 
 SCENA III
 
 GIANGUIR con guardie e ZAMA
 
 GIANGUIR
 Vincitor io ritorno e tu sì mesta?
 ZAMA
1230O dio!... Sposo... Gianguir... Quasi la gioia
 fa ciò che il duol non valse...
 GIANGUIR
 S’io tardava, il facea. Su. Cor ripiglia.
 ZAMA
 Ma come? Io ti piangea. Tu in libertade?
 Tu vincitor? Qual dio? Qual braccio il fece?
 GIANGUIR
1235Quello onde men l’attesi. Il generoso
 Mahobet. O seguiti
 avessi i tuoi consigli! Erano in fuga
 mie schiere, io tra catene. Ecco il gran duce
 d’Agra sortir. Stuol forte il segue; e tosto
1240cangia faccia il conflitto, il fier Cosrovio
 vinto e prigione, io sciolto e trionfante.
 Cento de’ più felloni
 pagar già col lor capo il fio di tanta
 malvagità. Chi gli ha sedotti attenda
1245destino egual. Re non mi volle e padre.
 Giudice m’abbia.
 ZAMA
                                   Se negli alti arcani
 di tua mente sovrana aver può parte
 zelo di fida moglie, ella si ascolti.
 GIANGUIR
 So il tuo senno e ’l tuo amor. Ma un vil perdono
1250non consigliarmi.
 ZAMA
                                   Ah! Questo
 degno è di te.
 GIANGUIR
                            Quel perfido n’è indegno.
 ZAMA
 Offeso più, tanto più sii pietoso.
 GIANGUIR
 Necessaria è sua morte al mio riposo.
 ZAMA
 Cosrovio è alfin tuo figlio.
 GIANGUIR
                                                 E d’ubbidirmi
1255maggior debito avea, perché mio figlio.
 ZAMA
 Se fra i delitti suoi conti Miraca...
 GIANGUIR
 Miraca, Asaf, il padre, il re e cent’altre
 sue colpe e l’armi e ’l sangue e le ritorte.
 Mi sprezzò. Mi fu iniquo; e avrà la morte.
 ZAMA
 
1260   Benché sia donna e moglie,
 credi ai consigli miei.
 Tu sol l’oggetto sei
 di quel sincero amor che parla in me.
 
    Me non invidia accende,
1265non cupidigia o spene
 ma sol la gloria e ’l bene
 di te, mio sposo e re.
 
 SCENA IV
 
 GIANGUIR e poi MAHOBET con guardie in lontano
 
 GIANGUIR
 La donna per instinto ama i soavi
 consigli, odia i severi;
1270e non sa che del trono
 prima base è ’l timor.
 MAHOBET
                                          Là vi arrestate ( Alle guardie in lontano)
 col prigionier; né sia chi avanzi il passo
 sino ad altro comando. (Si avanza verso il re)
 GIANGUIR
 (Qui ’l duce. Rimembrando
1275i torti e i benefici, io n’ho rossore).
 MAHOBET
 Se colui che poc’anzi discacciasti,
 qual traditor, dal tuo reale aspetto...
 GIANGUIR
 Deh! Mahobet, compisca
 tua virtù il suo trionfo; e del passato
1280non mi far sovvenir che in quella parte,
 ove tanto ti debbo.
 MAHOBET
                                     Io quello feci
 ch’era al mio re tenuto e a l’onor mio.
 GIANGUIR
 Ciò ch’io pur debbo adempierò. Ripiglia
 e grado e stima e amor.
 MAHOBET
                                              Concedi ancora
1285ch’io ripigli in favor di un infelice
 amicizia e pietà.
 GIANGUIR
                                 Che? Tu in difesa
 di quel ribel mi parleresti ancora?
 In esempio al Mogol, giust’è ch’ei mora.
 MAHOBET
 Esempio nel tuo regno e nel tuo sangue
1290straniero e periglioso.
 Tacerò che clemenza
 è la virtù dei re, che su la preda
 infieriscon le tigri e al generoso
 lion basta aver vinto.
1295Dirò sol che in te stesso
 tu rifletta, o sultan. Tu fosti, e forse
 con pretesto minor, figlio ribello.
 Cosrovio t’imitò. Tu imita il padre.
 Da’ il perdon, se l’avesti.
 GIANGUIR
1300L’ebbi ma ravveduto, umil, prostrato.
 Non così l’empio. In rabbia ed in orgoglio
 vinto imperversa; e la sua morte io voglio.
 MAHOBET
 E sarà questa morte
 d’altre stragi feconda. Io te l’annunzio,
1305non ch’io pensi d’alzar di nuovo il braccio
 ma perché mille spade
 sento fischiare in alto orribil suono
 intorno al tronco busto e al regio trono.
 GIANGUIR
 S’ei non cade al mio piè, re più non sono.
 MAHOBET
 
1310   Mora, se vuoi così, mora il tuo figlio;
 ma un dì lagrime dal ciglio
 il dolor ti spremerà.
 
    Tardo inutil pentimento!
 cui sarà di più tormento
1315l’affrettata crudeltà.
 
 SCENA V
 
 GIANGUIR, poi COSROVIO
 
 GIANGUIR
 Guardie, a me il regal seggio; (Partono due guardie)
 e al troppo reo Cosrovio omai preceda
 il funesto apparato. (Vien recato a Gianguir il seggio imperiale)
 Tua dignità sostieni, o re oltraggiato. (Siede. Dopo breve lugubre sinfonia, precedono a Cosrovio le guardie, su la cima delle cui aste stan fitte le teste dei decapitati ribelli. Per mezzo queste, divise in due file, Cosrovio a lento passo si avanza, riguardandone or l’una, or l’altra e tacendo per qualche spazio di tempo)
 COSROVIO
1320O a’ miei lumi!... O al mio core...
 funesto oggetto!... Ah! Quali
 periste, o fidi!... E tu, Jasingo, ancora!
 Misero! Io ti serbava altra mercede.
 GIANGUIR
 (Cominci a sbigottir l’alma orgogliosa). (Cosrovio, veduto il padre, si avanza con impeto verso lui)
 COSROVIO
1325Barbaro, cui non costa
 tanta strage che un cenno,
 del Mogol tu sei ’l re? Tu l’inumano
 distruggitor ne sei.
 Tanto non v’infierir Persi né Sciti
1330qual tu che di cotanti e de’ più prodi
 suoi guerrier lo spogliasti.
 GIANGUIR
                                                  Io? No. Costoro
 erano a me i più fidi, a me i più cari;
 né stanco era il mio amor. Tu gli hai perduti.
 La tua malvagità fe’ la lor colpa
1335e la loro sciagura.
 COSROVIO
                                   E i loro mali
 vendica in me. Da’ il colmo a tua fierezza.
 GIANGUIR
 Giust’è. Sol manca a questa
 tragica pompa...
 COSROVIO
                                 Intendo. La mia testa.
 GIANGUIR
 Sì. Il più nobil suo fregio.
1340Tua perfidia e alterezza abbian quel fine
 che macchinasti. Olà. Soldati. (Le guardie si accostano)
 COSROVIO
                                                         E sei
 tu ’l figlio di Akebar? N’hai la corona
 ma non il cor. Di fellonia tu fosti
 nel sangue di Timur il primo esempio;
1345e primo anche il sarai di crudeltade.
 GIANGUIR
 Partite; e de l’atroce (Le guardie tutte si ritirano in lontano)
 colpo non sia che spettatore il sole,
 se pure anch’egli per orror nol fugga. (Si leva e snuda la sciabla)
 COSROVIO
 O fera, o mostro, o non mai padre, il mio
1350carnefice già scorgo.
 Morte che mi atterrisse
 non v’era. La trovasti. O me reo sempre,
 e nascendo tua prole e che morendo
 non purgai prima di tal furia il mondo.
 GIANGUIR
1355V’è tempo ancor. Prendi, empio figlio; e sazia (Gittandola a’ piè di Cosrovio)
 tua rabbia. Al trono ascendi
 sul cadavere mio. Troncane il capo.
 Strappane la corona
 che usurpo; e del mio sangue
1360stillante ancora, a te ne cingi il crine.
 COSROVIO
 (Giusto ciel! Qual orror!)
 GIANGUIR
                                                Che fai? Che tardi?
 Tu calpesti le leggi e la natura.
 Son lontani i custodi.
 Soli qui siam. Sicuro è ’l tuo delitto.
1365Chi ti ritien? Ferisci. Io son tuo padre.
 COSROVIO
 Ah! Troppo offeso e troppo (S’inginocchia)
 buon padre! Eccoti al piede
 il troppo altero, il troppo reo Cosrovio.
 Ei non cerca pietà. Vuol pena e morte
1370che lo tolga al suo orror. Ripiglia, o sire, (Raccoglie di terra la sciabla e la porge a Gianguir)
 il tuo ferro. In me il vibra
 e previeni un mio colpo
 che esser deve opra tua. D’essermi padre
 scordati alfine. Io non son più tuo figlio.
 GIANGUIR
1375(Le tue lagrime ascondi, o debol ciglio). (Volgesi all’altra parte, non vedendo Semira che sopraviene)
 
 SCENA VI
 
 SEMIRA e i suddetti
 
 SEMIRA
 (Che veggo? Il figlio a’ piè del padre? E in mano
 al padre il ferro ignudo?)
 Cosrovio, a qual viltade (Alla voce di Alinda, Gianguir rivolta la faccia e Cosrovio si leva)
 indur ti lasci da un timor di morte?
1380Supplice reo fa gloria ad un tiranno,
 pietà non mai. Sostieni
 con fortezza il destin. Son teco anch’io.
 Sì. Qui vengo, o sultan, non per salvarlo,
 me di tutti aggravando i falli sui
1385che miei pur son, ma per morir con lui.
 COSROVIO
 Che festi, o dio! Semira? Ed in qual punto
 giugnesti? Io chiedea morte; e di riposo
 m’era il lasciarti in vita.
 SEMIRA
 Era egli giusto? A chi ben ama, i mali
1390son comuni ed i beni.
 Gianguir, l’alma di lui con l’alma mia
 odio congiunse e amore.
 Non le divida il tuo furor. Di un figlio
 feci un ribel. Se vivo,
1395ti farò altri nemici. Io ne ho ’l potere.
 Guai per te, se mi lasci un breve instante,
 in cui dover mi sproni,
 oltre del padre, a vendicar l’amante.
 COSROVIO
 Non l’ascoltar...
 GIANGUIR
                               Troppo anche udii. Contenti
1400saran, perfida coppia, i vostri voti.
 Ne la reggia maggior tratti a l’aspetto
 d’altro giudice sien. Comune intanto
 e rimorso vi lascio e tema e pianto.
 
    Un padre che condanni è troppo barbaro,
1405che assolva è troppo debole.
 Un altro, anime ree, giudice avrete.
 
    Ma tal che in faccia a lui, per quanto siate
 fiere, ostinate e perfide,
 confondere e tremar vi sentirete.
 
 SCENA VII
 
 SEMIRA e COSROVIO con guardie
 
 COSROVIO
1410Semira, anima mia, son questi i nostri
 trofei? Queste le nozze? E questo il regno?
 SEMIRA
 Il destin non ne volle appien felici.
 Ma temé o pur non seppe
 disgiugnerne il crudel. Questa era morte.
 COSROVIO
1415La morte non avria con che atterrirmi,
 te salva, o del mio cor parte migliore.
 SEMIRA
 Lungi da te un disio che mi vorrebbe
 più infelice o men forte o meno amante.
 COSROVIO
 Deh! Chi avrà mai sì di macigno il petto,
1420cui non prenda pietà di sì bell’alma?
 SEMIRA
 Al giudice che avrem, farà più senso
 versar sangue real. Chi sa? Vi è ancora
 scampo per te. Vi è un imeneo. Vi è Zama.
 Verrà tutta a sfogarsi in me la pena.
 COSROVIO
1425No. Mille morti pria. Son di Semira.
 SEMIRA
 E di Cosrovio anch’io.
 A DUE
 Sia questo il nostro fato,
 viver o morir teco, idolo mio.
 
    Placide a miglior vita
1430passin nostr’alme fide.
 Morte non le divide;
 né a pianger resta amor.
 
 SEMIRA
 
    Ma se ne dividesse
 rabbia di avversa sorte,
1435questa sarebbe morte,
 questo saria dolor.
 
 Salone imperiale con ricco trono.
 
 SCENA VIII
 
 GIANGUIR, ZAMA, ASAF e MAHOBET
 
 GIANGUIR
 A te, cui l’alto senno,
 più che l’alma beltà, rese a me cara,
 lascio il poter sovra il destin de’ rei.
1440Pesa i tuoi torti e i miei.
 Padre e re, tal son io che in me parrebbe
 o codardo o tiranna,
 nel lor fato il perdono o la condanna.
 ZAMA
 Signor, nel gran giudicio, a cui mi eleggi,
1445avrò a cor la tua pace e la mia gloria. (Gianguir sale sopra il trono, servito da Mahobet)
 ASAF
 Per Semira, o germana, umil ti priego.
 Ella è amabile oggetto a’ miei pensieri.
 ZAMA
 Giusta esser deggio e l’amor tuo disperi.
 MAHOBET
 O del Mogol eccelsa regnatrice,
1450serba al trono l’erede, al padre il figlio.
 ZAMA
 Già presi da equità norma e consiglio. (Ascende anch’essa sul trono, servita da Asaf)
 MAHOBET
 (Implacabile è sdegno in donna offesa).
 ASAF
 (Semira è infida e pur ne piango il fato).
 
 SCENA ULTIMA
 
 COSROVIO e SEMIRA con guardie e i sopradetti
 
 SEMIRA
 Poco a soffrir ne resta. Estremo male
1455questo ha di ben, che è breve.
 Vincer non puossi, tollerar si deve. (Si avanzano verso il trono. Qui comincia a calar dall’alto e a dilatarsi all’intorno una densa oscura nuvolosa che, in gran globo aggirandosi, venga ad ingombrare tutto il prospetto della scena . A poco a poco dipoi essa dileguandosi, darà luogo alla veduta di luminosa macchina che scende pure dall’alto, rappresentante la reggia del Sole, deità adorata dagl’Indiani, col gran circolo del zodiaco all’intorno e altri simboli di essa deità)
 GIANGUIR
 Alza gli occhi, o rea coppia, e meco in trono
 vedi il giudice tuo. Spoglio me stesso
 del mio poter. Tutto il depongo in lei,
1460per cui cotanto avesti odio e disprezzo.
 Ella vendicherà figlia e fratello
 e marito e sé stessa; e se mai pena
 trovar saprà che i vostri falli adegui,
 fin la più atroce sembrerà pietosa.
 SEMIRA
1465Qualunque sia, già siam disposti. Morte
 di tutto è ’l fin.
 COSROVIO
                              Sultana,
 dir ben puoi che sia giunto
 al sommo di sua gloria
 quel genio fortunato, onde hai l’impero
1470sul maggior de’ monarchi. Ecco in tua mano
 la sorte di due vite, a dar le leggi
 nate, non a soffrirle. Or puoi col manto
 ricoprir di giustizia ira e vendetta.
 SEMIRA
 Cosrovio...
 COSROVIO
                       E anch’io potrei
1475da tua sentenza a quella
 degli uomini appellarmi e degli dei.
 Ma questa mel divieta
 sola di me regina. Io soffro e taccio.
 ZAMA
 Se dal vostro e mio re portata al trono,
1480non avessi già appreso
 a regnar in me stessa, invan per gli ostri
 dal più ignobile volgo andrei distinta.
 Voi per me non nudriste
 che dispregio e livor. Rispetto e stima
1485non mi ottenne grandezza.
 Me l’acquisti virtù. Scordo le offese;
 e quanto opraste iniqui,
 tu del tuo re, tu del tuo padre in onta,
 vuol quel gran cor ch’io vi rimetta e doni,
1490a te, che genuflesso
 vide a’ suoi piedi, e a te, che spinta a l’ire
 fosti dal duol dei già sofferti danni.
 E accioché al vostro amor nulla più turbi
 le speranze e i riposi,
1495l’un de l’altra godete, amanti e sposi. (Scendono i due sultani dal trono)
 SEMIRA
 Da sì eccelsa bontà sorpresi e vinti,
 condanniam que’ rancori
 che giusti ne parean. Non l’avria fatto
 la pena e ’l fa il perdono.
1500O magnanima donna, o nata al trono.
 COSROVIO
 Io che dirò, gran padre? Io che, regina?
 Grazia trovar dove attendea gastigo?
 O clemenza che colma
 me più di orror, voi più di gloria!
 GIANGUIR
                                                               Figlio,
1505sii in avvenir più cauto.
 Doma fasto, ira vinci; e ben ti guarda
 da ricader per colpa in nuovi mali.
 Abbiano in te, Semira,
 più poter le recenti
1510che le antiche memorie; e in voi, miei fidi,
 cessi ogni affanno; e qual là su scorgeste
 a scure e dense nubi
 succeder poi, di miglior luce adorno,
 de l’India il maggior nume, autor del giorno,
1515or godete in mirar che spenta alfine
 ogni torbida face
 riede a noi lieto amore e stabil pace.
 COSROVIO
 Per quai vicende a tanto ben siam giunti!
 SEMIRA
 Piacque agli dii nostra costanza e fede.
 MAHOBET
1520Quanto di vostra sorte esulto anch’io.
 ASAF
 (Datti omai pace. Altro non puoi, cor mio).
 GIANGUIR
 Con la pompa si onori
 un così fausto giorno, in cui di tanti
 nemici trionfai.
 TUTTI
1525Più bel giorno al Mogol non sorse mai.
 CORO
 
    Per man de la gloria
 nei fasti si scriva
 la lieta memoria
 di un dì sì beato.
 
1530   E quei che verranno
 intendan che al regno
 monarca più degno
 dal ciel non fu dato. (Gianguir e Zama vanno a sedere sul trono; e sotto loro pur siedono prima Cosrovio e Semira e poi Mahobet ed Asaf. Scendono intanto dalla macchina i seguaci del Sole, divisi in quattro squadriglie, le quali figurano ne’ loro abiti e movimenti le quattro stagioni dell’anno, e intrecciano fra di loro una danza allegra e bizzarra)
 
 Fine del dramma
 
 LICENZA
 
 Ma chi d’agili vanni
1535mi dà il soccorso, onde da l’Indo a l’Istro
 prenda volo sublime e là col canto
 onori un più bel giorno, in cui di Carlo
 si applaude al nome augusto?
 Gli ho da gloria e da fama. Eccomi a vista
1540del maggior de’ monarchi. Il miro e quanto
 con l’alta maestà l’alme atterrisce,
 con l’amabil bontà tanto le affida.
 Provvido invitto Carlo,
 tu difendi la pace
1545e la guerra spaventi, onde anche i tuoi
 faticosi riposi
 sono per te trionfi
 e salute per noi.
 Ma dove m’alzo? Ove mi spingo? Assai
1550dissi in voler. Meno è quant’oso; e come
 scorge che è l’ocean quell’occhio istesso
 che non sa quanto ei sia, così la mente,
 che a quant’è il tuo gran cor giugner non puote,
 sa però che è ’l tuo core
1555oggetto de l’ossequio e de l’amore.
 
    Sì, ad amarti, ad onorarti
 sforzi l’alme, o gran regnante,
 nel cui cor, nel cui sembiante
 stanno amore e maestà.
 
1560   Tu sì amabile ne reggi
 che godiam ne le tue leggi
 quel più dolce e quel più caro
 che fa idea di libertà.
 
 Fine