Metrica: interrogazione
374 settenari (recitativo) in Imeneo Venezia, Pasquali, 1744 
Non contar fra’ tuoi mali
chi può scoprirmi? Questa
Quella, oh! quella foss’io.
né l’amor né l’amante?
de’ miei lusingherollo.
che si l’abborri e schivi?
                      Fuor del mio core
l’hai per colpa innocente.
                          (L’ho colta).
son donna, ho senso, ho vita;
Non è sempre il più acuto
Ma nel tuo amor non veggio
                          Il mio
del padre, ad altre nozze...
(Ah! Che anche troppo intesi).
Con l’assenso di Eumolpo
E al tempio andiamo, Erasto.
                 Tu qui le parla,
perder puoi, se più indugi.
                          Aspre e moleste.
Chi serve a chi altro nume
e il saper più d’ogni altra
ti danno il grado eccelso,
per cui te, già tre volte
                         No, padre.
Quegli omaggi, che all’alma
                     O mia Dorisbe. (Dorisbe mette in capo ad Alisa la ghirlanda e intanto si sente una picciola sinfonia d’instrumenti pastorali)
                       A me succeda
Non sapea già appressarlo.
Altri alzi il canto e onori
voi ch’altra terra e forse
dal mar, che ne disgiunge,
da un dover, che mi sforza,
di quella ov’egli stassi,
presentimento... Ah! Figlio,
e che, s’io non mi astringo
di Tracia, un cui son ligie
che di questa m’incresce
                    E ti risenti?
Me di provincie e mari (Tra sé)
muor tosto e di sé lascia
già rendo e che d’obblio
Taci; e a già caro amante
Bella Aglauro, avrei quasi
Piace a lei tormentarti. (Ad Erasto)
Anzi disingannarti. (Al detto)
Soffersi il tuo, nol resi.
Quel del non più piacermi.
               Qui con Aglauro
esser potrà ch’io cangi
Nol dir che, quale avviene
suon di quell’aspre voci,
                                    Oggetto
Oimè! Non ho che un core;
V’ha cui passa l’amaro
                             (Oh! Il piede
O dio! Che udir senz’ira
che s’ami, ov’egli sforza.
Ma se mi è dato un giorno
benché il ciel m’abbia dato
ch’io ti faccio del core,
l’idee, che in sé rivolge,
di te che tal l’hai reso;
                           Già è tempo,
Che? Lacci a me? (Levandosi impetuoso)
                                   A donzella
quell’aspre funi ed adre,
Fermatevi, che indegne (Rispingendo i ministri)
                                   Se il puote,
lo neghi. Io qui l’intesi.
Racchiusa in pochi accenti
dategli lode. Oh! Il degno
fa’, Erasto, che si rechi
e ch’oggi i suoi punisca
nel tempio e appiè dell’ara
(Oimè! Ch’io vengo meno).
                                      Ma... (Si ferma alquanto)
Come? O dei! Ferma. Ascolta. (Arrestandola)
non fosse che il tuo amore,
                           Che dici?
Se a ninfa, che il salvasse,
Te ne sovvenga. Addio. (Si parte)
da costoro indagarlo. (Si ritira in disparte)
nel tempio; e giunto appena,
(Uom quegli è d’alto grado.
(V’ha chi mi osserva. Parmi
               Nol sono; e avvezzo
Io che queste ho in governo
ch’io pria gli ultimi adempia
                     Io lo compiango.
fosse quel figlio...) Ha padre?
Non so... Che affanno è il mio!) (Si ritira in disparte)
pregarti, anzi ch’io mora,
sia... Se a dirlo avrò forza...
mi punga affanno. In quella
finisco i pianti; e l’altro
                                Addio. (Ad Eumolpo)
m’aita. (Eumolpo corre a sostenerlo e pian piano lo adagiano ad un sasso della fontana)
                 O fiero caso!
nol sarà più, se il duolo,
Che abbraccio?... Un’ombra?... E dove
sei tu? Dove son io? (Si leva agitato)
                              Oh! Questo
Che sì?... Vieni più lieta
                      In quel momento
                 Quel ch’io ti porsi
                     Non turbarti.
vedrai stretti a’ tuoi piedi
e l’industria e il valore.
S’ebbi cor ne’ miei mali,
se ne’ suoi rischi ingegno
                    Assai già tacqui.
                      Ingiusta!...
                                            In prezzo (Ad Imeneo)
Ma che due sì bell’alme
che ti si legge in fronte,
nol so. Ben farò, Eumolpo,
non v’ha uguaglianza, e ch’altro

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