ma fedel mi vuole al trono
Non v’ha legge e non affetto,
onde il cor si senta astretto,
suo malgrado, ad esser empio,
o con l’opra o col tacer.
urli ad altri, ad altri frema.
Basta a me non sentir verme,
che mi roda, e star sul lido.
d’altri sia periglio e tema.
Con piè franco e ciglia ferme
scherzo al fischio e al tuon mi rido. (Odesi in lontano sinfonia strepitosa di strumenti egizzi; e quindi, preceduta dalle guardie reali e seguita da’ suoi satrapi, esce fuor del portico destro Nitocri, accompagnata dagli altri e servita da altre guardie)
Saggio sei. Non sempre viene
ogni mal per nostro affanno.
Spesso il mal sta ne l’inganno.
Scorto ingegno il cangia in bene,
cieca doglia il pasce in danno.
e ’l tuo amore alor dolente
Se non hai più cor di amante,
hai però quel di regnante.
Prima ascolta e poi condanna
La farà quell’ombra misera
che da l’urna: «Il sangue» grida
«chieggo a te del mio omicida».
che fremendo: «Il capo» grida
«dammi tu di un parricida».
che sdegnosa: «Estinto» grida
«sia per te quel fratricida».
Non vedresti in questo core
che disprezzo, odio, furore,
duol di vita, amor di morte.
son le brame e le speranze
tutte oppresse e tutte assorte.
Sinché un raggio di speranza
dà baldanza a un forte amor,
trova un cor fido e costante.
Ma qual foco a poco a poco
se alimento a lui si toglie,
senza spene in core amante.
due bell’alme unisce e lega,
non volesse o non potesse
turbar sorte il lor riposo,
e più forte e più fedele,
più trionfa in tormentar.
sul meriggio, in sé rivolta,
qual si scuota e qual si desti?
A lei pure in quel riposo
crebbe in sen la rabbia e ’l tosco.
Spiega al lume il gran volume;
con tre lingue il capo vibra;
e ’l contorce e in alto il libra;
fischia e fansi a lei d’intorno
l’erba arsiccia e l’aer fosco.
gl’infelici affetti miei.
Mio non è; ma se quel core
mio ancor fosse, a l’amistade,
tu ’l perdona e frema amore, (Verso Emirena)
con più merto io l’offrirei.
Serbar puoi la cara vita.
Con infamia e con martir.
Forte è amor ma non invitto.
Da un gran core egli è sconfitto;
e virtù ne ottien la palma.
Ei ne sta con onta e pena;
ma in mirarti, o regal donna,
prende ardir, si rasserena
e s’inchina a sì grand’alma.
Regno stimi assai migliore
impor leggi al sol tuo core
che dal trono a l’altrui fato.
Ei servendo a ciò che è giusto,
si fa grado a un ben più eccelso.
Dignità lo rende augusto;