Il mio cor non si spaventa
perché troppo lo contenta
Penso, bramo; e non intendo
né la brama né il pensier.
Formo un voto e poi mi pento;
gli do bando e lo richiamo;
alla fonte o nel boschetto
ride e canta e questa e quella.
Già credea mio sol diletto
la beltà che tanto adoro.
Or sia amore o sia destino,
quando forse io l’ho vicino,
temo insino il mio ristoro. (Si ritira nel gabinetto)
A capir sol bene appresi,
dacché servo, il mio dover.
Cor di re, sei sfortunato.
ma prevalse al mio consiglio
la fierezza di un bel ciglio
e il rigor di un empio fato.
Se ugual fosse all’amor mio
il piacer che per te sento,
Ma lo tempra il cor dubbioso
che diventa infin pietoso
col rigor del suo spavento.
nel crudele estremo addio,
chiedo amor, non chiedo pianto.
forte incontro il destin mio;
di costanza io perdo il vanto.
Mi è più caro amar quel volto
che regnar sovra il suo soglio.
Far nol puoi. Ma sai perché?
Perché ancor nella tua fé
sei spietato, ingrato cor.
La tua fé mi è sì crudele
che ti bramo ora infedele
ma non mai più sfortunato.
e di assalto e di vittoria.
Chi mi offese, al suol trafitto
forti, andiamo. Al braccio invitto
manca il rischio e non la gloria.
Viva il prode, Aldano viva.
Tra due fiamme e tra duo venti
Per idea de’ miei spaventi,
mi sovrasta, ov’io mi volga,
o l’incendio o la procella.
Vivi, o caro, e lieto vivi,
ch’io godrò nel tuo diletto.
la memoria del mio affetto.
Qui vi attende un’egual sorte.
La tua morte orror mi fa.