Metrica: interrogazione
144 ottonari in Il Teuzzone Milano, Malatesta, 1706 
   Sostenerti ancor sul trono
   E se pure avversa sorte
vuol ritorti un sì gran dono,
   Dirò ad altri: «Mio tesoro,
ma con l’alma il dirò a te.
   In amarti, o mio diletto,
leggi impor dal soglio aurato;
   Non dar fede a vil timore.
   Spunta il sol; né ancora al dì
   Ma bei lumi, voi piagnete;
ingemmando l’erbe e i fiori,
   Mi usciria per gran diletto
fuor del sen l’alma e la vita;
ma la sento al cor più unita
ne lo stringerti al mio petto.
   Non mi uccide il mio contento
   Da uno sguardo del tuo ciglio
   Ei mia guida, ei mio consiglio,
   Se regnar vuoi col mio affetto,
   Ho per brama il tuo diletto,
ho per alma il tuo voler. (Si ritira in disparte con Argonte e tartari)
   Dagl’Elisi, ove gioite,
E ’l maggior de’ vostri figli,
ombre avite, ombre immortali,
di onorar non v’arrossite. (I sacerdoti e sacerdotesse cinesi incominciano un’allegrissima danza)
   Sarai mio; (A Cino) (lo dico a te). (A Sivenio)
(E a chi parlo amor lo sa). (A parte)
   Tu mio sposo e tu mio re,
servi al fasto ed a l’ amore.
(Sol chi regna in sul mio core, (A parte)
meco in trono ancor godrà). (Entrano nella città)
   Alma, al pianger troppo avvezza
   Certa già di tua grandezza,
   Col mio labbro giura il campo...
   Chi ci elegge in re la legge,
sarà il giusto e sarà il degno. (Tutti vanno a sedere a’ lor posti ed il trono rimane vacuo)
   Io vassallo? Io giurar fede? (Levandosi con impeto)
   Non si serva con mia pena
   Vaga fronte, ch’ostro cinga,
   Sparsi a l’aure ite, o vessilli;
svegli in altri orror di morte
e in voi desti amor di gloria.
   Morte vuoi? Va’ pur, crudele;
   A’ torrenti da quest’occhi
   Prenda il cor nuova baldanza
e ormai rechi un dolce inganno
   Troverò qualche conforto
rinfacciando a l’empio il torto
ch’ei mi fece in disprezzarmi.
   Ed ei forse avrà più pena
il piacer che ho in vendicarmi.
   Non più teme, non più orrori,
godi, esulta, abbiam poi vinto.
   Pria di ferro e poi di allori
sì bel giorno il crin ti ha cinto.
   Tempo è già di armarti, o core,
   Prova sia di mia innocenza
   Troppo offendo il bel che adoro
  A che tanto in voi di sdegno,
   Quanto costi al mio riposo
   Sorte infida e amor geloso
   Benché io l’ami, soffro in pace
   Al mio ben non son crudele,
se ha beltà più d’un amante.
                                 Tu vuoi morte.
                      E morte io vo’.
   Deh! Mi lascia un cor più forte.
Io pietà di me non ho. (Zelinda in atto di partirsi è fermata da Zidiana)
   Quest’amplesso a la mia sposa
   Io mi veggio in fra catene;

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