Metrica: interrogazione
93 ottonari in Venceslao Venezia, Rossetti, 1722 
   Abbiam vinto, amico regno.
N’è tuo frutto e gloria e pace;
   del fellon superbo e fiero
vedi il teschio; in suol straniero
insepolto il busto giace. (Ernando scende dalla macchina e si avanza verso del re Venceslao che viene ad incontrarlo)
   Se ti offendo, tacerò;
di qual fiamma avvampi il cor.
   Cercherò ne l’ubbidirti
e ’l conforto al mio dolor.
   Ti consiglio a far ritorno,
   Col piacer che siate miei,
   Da voi parto sì contento
che in lasciarvi più non sento
   Non amarmi. Non pregarmi.
   Il suo amor piange sprezzata,
ingannata, anche il suo onor.
   Parto amante e parto amico,
   Se nol credi o te ne offendi,
la fortezza di quest’alma,
   Con sembianze lusinghiere
copri invan un certo inganno.
   Mal si cambia il falso ardore
d’un infido e ingrato amore
col patir d’un vero affanno.
   D’ire armato il braccio forte
   Duolmi sol che il fier rivale
   D’aspri nodi amor chi cinge
se li scuote più li stringe
né più sciolto il cor sen va.
   Cara parte di quest’alma, (Se gli accosta)
torna, torna ad abbracciarmi.
                             A l’armi, a l’armi. (Casimiro dà di mano alla spada e con impeto da sé risospinge Lucinda)
   Traditore, più che amore
brami piaghe e vuoi svenarmi?
   Nel seren di quel sembiante
   e saprà di un incostante
   Grida il sangue e la ferita
del tuo figlio e del mio sposo.
   Deh assicura il suo riposo
   Da te parto e parto afflitto,
   Ma poi tacqui il dolce nome
che più aggrava il mio delitto
   Sarà gloria a la costanza
   Toglie il merito a la fede
   E se teco io non vivrò,
   Ballenar con giusta legge
del mio braccio e di mia spada
si vedran dal trono i lampi.
   Perché il figlio viva o cada
né l’amor né l’ira avvampi.
   Come il flebile usignuolo
varia stile e al suon rassembra
cetra, flauto, organo e lira.
   Così ’l cor, cui varia ognora
la cagion d’aspri lamenti,
al dolor cambia gl’accenti,
  Non mi dir di amarmi più,
   Vivi e regna fortunato,
   Te si unisca a far beato

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