Abbiam vinto, amico regno,
n’è tuo frutto e gloria e pace.
Il fellon superbo e fiero
cadde estinto e in suol straniero
insepolto il busto giace.
Ama, sì, ma sempre chiara
sia la fiamma del tuo cor.
Non è preggio in nobil petto
il nudrire un vile affetto,
Pria che padre, assiso in soglio,
a punir de’ rei l’orgoglio,
Or vedrai, qual genitore,
al tuo sdegno, al tuo furore
Come va dal bosco al prato
susurrando il rusignuolo,
vola l’alma al suo tesor.
«Frena, o caro, il tuo bel duolo,
sei la pace del mio cor».
sei tu ingiusta ed io infelice.
Sì che voglio ancor sperar.
Io non sento per te ardore.
Tutto ardor son io per te.
il mio sdegno mai placar.
Il tuo sdegno ho da placar.
Con le donne che son fiere
e guerriere san di scherma,
Gildo, ferma!, non conviene,
disinvolto e con bel brio,
di finir presto la pugna;
perché il tempo alfin sen viene
Non è d’uopo d’affannarsi
se il contrario ti repugna,
che destrezza e non fortezza
M’ero già dimenticato. (La saluta)
Di Gerilda il bel visino...
Di Gerilda il guardo acuto...
Di Gerilda il duol profondo...
È più bella la tua Elisa.
Non parlarne, che sia uccisa.
di Gerilda assai più tondo.
ti saluto e mi sprofondo.
Per saper s’io sono amante
basta sol per breve instante
Coi lor guardi afflitti e mesti
D’ire armato il braccio forte
d’ogn’intorno straggi e morte
Duolmi sol che il fier rivale
sotto a questo acciar reale
Cara parte di quest’alma,
torna, torna a consolarmi.
All’armi, all’armi. (Cava la spada)
brami piaghe e vuoi svenarmi?
Son regina e son tradita,
il mio onore e la mia vita
Nel tuo figlio è la mia sorte
o il crudel mi dia la morte
Spesso vola un basso affetto
a oscurar d’un regge il petto;
però Astrea, ch’è assisa in trono,
E quel sangue ancor fumante,
ch’è a la destra d’un regnante,
Perché mai? Dimmi, perché?
Perché al lume de’ tuoi lumi
voglio accender le candele.
che il padron starà allo scuro,
Stia allo scuro il tuo padrone,
né in me fuoco v’è per te.
Questa è troppa ostinazione.
Va’, t’aspetta il tuo padrone.
Hai li spirti troppo fieri.
Va’ a trovar i candelieri.
Troppo sprezzi chi è fedele.
Va’ ed accendi le candele.
Nol farai giammai con me. (Partono da diverse parti)
già la vittima cadé. (Casimiro volendo porre lo stile sul tavolino, vede il padre nello stesso momento in cui il padre alzando gl’occhi vede il figlio)
Col piacer di vendicarmi,
per te riede nel mio cor;
(ma saprò, già vendicata,
poi seguirti, ombra adorata,
Da te parto e parto afflitto,
ma poi tacqui il dolce nome
che più aggrava il mio delitto
e più accresce il tuo dolor. (Parte seguitato da Gildo)
E pur sento il dio d’amore
che il mio cor va lusingando
del mio bene ha da finir.
Date morte... Ah no, fermate
che dir possa lagrimando:
Sei la calma del mio cor.
con più forte e saldo amor.
Ed io torno al primo amor.
La giustizia con l’amore,
Come padre e re dal trono
saprò al figlio dar perdono,
tempo e sorte, amor e fé.