Agli oltraggi della sorte
Tu m’ hai tolto il caro amante;
tu hai sedotto in cor regnante
pianti, spasimi ed affanni.
Da te solo, o scellerato,
tutti nacquero i miei danni. (Entra nella città con Vonone, scortata da alquanti soldati, uscendone altri a riceverla e custodirla)
In soccorso al degno amico
la pietà del tuo bel core.
E in suo pro fedele oprando,
dirò a me: «Servo al comando
del dovere e de l’ amore».
che tien arte a lusingar.
più che il bel che in noi si vede,
quell’inganno, a cui dan fede,
di aver merto a farsi amar.
Se a me rendi il caro amante,
oh! quai voti in tua salvezza,
buon regnante, appenderò. (Parte)
Se a noi serbi il duce invitto,
tremar l’Asia e a tua grandezza
serva farsi un dì vedrò. (Parte)
Ed aggiugnersi al tuo trono
da un perdono anch’io dirò. (Parte)
La tua spada assai mi diede;
ma più deve a la tua fede
Solo avvien che appien non sento
tutto il ben del mio contento,
quando penso al tuo dolor.
certo già d’esser l’oggetto
del tuo affetto, anima mia.
il soverchio ardente foco.
Vo’ che m’ami ma non tanto
che il tuo amore incendio sia.
Dubbie voci. Oscuri sensi.
Non t’intendo. M’ingannasti
e ingannarmi ancor ti pensi
Mal rispondi. Ti confondi.
Parla ardito chi è innocente.
Tu ’l vorresti e nol sai far.
ma vo’ il core in libertà.
Il vantar più d’un amante
pregio accresce a un bel sembiante
Siam qual legno in fra più venti
che non sa cui dar le vele
per trovar l’amico porto.
Qua e là gira e poi quel segue
che più avverso e più infedele
su le arene il lascia assorto.
fermi beni e piacer veri.
Tal regnando, augusto Carlo,
più ’l tuo impero o più te stesso.
tutto il gaudio in te si accoglie,
qual dei rai, che per cristallo
spanda il sol, n’è centro anch’esso.
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